Federico Novaro scrive di matrimonio, amore, sesso, famiglia, figli… dando spessore al video “Legalize Love”. Con meno lacrime e più sangue
Quando sono arrivata a Milano, alla metà degli anni Ottanta, c’era un cinema, mi sembra si chiamasse Orchidea, in cui si poteva fumare in sala. Durò poco, ma per molto tempo ancora i fumatori poterono rivendicare la loro libertà (proprio così si diceva) in bar, ristoranti, uffici. Ricordi di un’epoca passata, soppiantata da multisale e sigarette elettroniche. Eppure il decreto Sirchia anti-fumo è solo del 2003. E’ strano come le cose a volte passino veloci.
A un altro mondo appartengono anche scene di matrimonio in cui il marito poteva legittimamente picchiare la moglie, la donna non poteva decidere se e quando rimanere incinta e i due coniugi dovevano rimanere indissolubilmente legati anche se non si sopportavano più. Eppure, quando si parla di matrimonio, di coppie di fatto o di unioni fra omosessuali si accendono polemiche, discussioni e tutte le volte si ricomincia da capo. E’ strano come le cose a volte non passino mai.
Su matrimonio e annessi (amore, sesso, famiglia, figli) si interroga Federico Novaro in Love Song, che verrà presentato a Milano allo Spazio B**K di via Lambertenghi, mercoledì 5 novembre alle 19,30. Dopo aver commosso l’Italia in eurovisione durante lo scorso Festival di Sanremo, Federico Novaro ha deciso di dare spessore al video Legalize Love con cui lui e il marito avevano raccontato la loro storia d’amore. Meno lacrime e più sangue.
Oddio, qualche lacrimuccia scappa anche sulle pagine del libro. D’altronde chi non si commuove di fronte a una storia d’amore? Bella, oltretutto, perché diciamolo: Federico Novaro che di mestiere fa il critico letterario e con l’acronimo FN cura il sito www.federiconovaro.eu, con la penna ci sa fare. Con leggerezza, e talvolta ironia, riesce a decostruire stereotipi di genere che assegnano ruoli fissi a donne e uomini, sfata pregiudizi e rappresenta le tante sfaccettature dell’amore, etero o omosessuale che sia.
Per far questo, parte da se stesso, un ragazzo nato in una cittadina di provincia nel 1965 che, quando era giovane, se al cinema c’era un attore molto figo diceva che il film non gli era piaciuto: «nella mia mente questo era per evitare che si potesse pensare che mi era piaciuto solo a causa dell’attore figo». Non proprio un dramma esistenziale, insomma.
Ed è proprio la naturalezza con cui si racconta a creare un effetto disarmante: «Per decenni intorno a chi amava una persona del suo stesso sesso è girata, ossessiva, una questione che sembrava di primaria importanza: la questione dell’identità. Chi sono? Chi siamo? Chi sono per me? Chi siamo per noi? Chi sono per gli altri? Chi siamo per gli altri? È così importante?».
Forse no. Ma allora perché nonostante le tante battaglie in questo Paese, dove fino a pochi anni fa un omosessuale non poteva donare il sangue e dove secondo i dati Istat il 41,4% delle persone è contrario a un maestro elementare omosessuale, rispettare l’identità e il desiderio di amore di ognuno è così difficile?
La risposta la dà con lucida onestà lo stesso Federico Novaro: «Ci sono molte persone che credono che il giorno in cui due persone dello stesso sesso potranno sposarsi tutto finirà. Finirà un mondo millenario, una cultura, un universo. Hanno ragione».
Dici niente. Se la lotta è non per difendere la famiglia tradizionale, che sappiamo non esserci più, ma l’idea che abbiamo di famiglia tradizionale, non il matrimonio ma l’idea del matrimonio, non il mondo ma l’idea del mondo, la battaglia è finale. E la strada, temo, sarà ancora lunga.
“Love Song. Storia di un matrimonio” di Federico Novaro (Isbn Edizioni, pp. 135 , 12,50 euro, ebook 6,99 euro)