Quasi cinquant’anni fa Giorgio Marconi acquistava una cassa di disegni di Lucio Fontana che, come un vaso di Pandora, oggi ci restituisce un capolavoro
«Io buco: passa l’infinito da lì, passa la luce, non c’è bisogno di dipingere […] tutti hanno pensato che io volessi distruggere, ma non è vero, io ho costruito, non distrutto». Così Fontana nell’esergo scelto dalla Fondazione Marconi per la mostra, curata con la Fondazione Lucio Fontana, che inaugura il rinnovamento dello storico spazio di via Tadino 15.
Il retroscena d’occasione è raccontato, con gusto divertito, da Giorgio Marconi nell’intervista di Ada Masoero per il Giornale dell’Arte. È il 1968 e, mancato da pochi mesi l’artista, la vedova Teresita contatta Marconi per proporgli un accordo tanto inconsueto quanto irrinunciabile: comprare, a rate e a scatola chiusa, una cassa piena di disegni di Fontana. Marconi accetta e «da allora per oltre un anno, una o due volte al mese mi arrivavano da lei dei pacchi legati alla meglio, con lo spago, di carte di Lucio». Una sorta di “kinder sorpresa” per galleristi.
Fra quelle carte c’era anche il progetto per l’allestimento, mai realizzato, di Concetto spaziale. Trinità (1966). Dopo quasi cinquant’anni, grazie alla cocciutaggine di Marconi e alla consulenza di Nini Laurini, l’opera ha preso corpo. Un cuore solenne e silenzioso, al quale si arriva passando da una sala di carte assorbenti bianche, ritmate da buchi, strappi e graffiti, e da una sala di teatrini. Un’introduzione perfetta: le carte bianche ribadiscono la primarietà dell’invenzione di Fontana, mentre i teatrini restituiscono la tensione ambientale delle sue operazioni. Essenzialità e totalità che risuonano, con congiunta efficacia, nei 17 m di trittico bianco cinto di plastica blu di Trinità.
La mostra allestita da Marconi ci ricorda, con semplicità, quale pietra miliare sia stato Fontana per l’arte del Novecento. E per fortuna Marconi non è il solo a mantenere costantemente aperta una finestra di riflessione sulla stagione artistica meneghina degli anni Cinquanta-Sessanta. Grazie anche al maggior appeal della sede, la mostra Klein-Fontana del Museo del Novecento ha recentemente ricordato al grande pubblico che Milano in quegli anni era veramente uno dei crocevia dell’elaborazione culturale europea e mondiale.
Forse è un’impressione sbagliata, ma sembra che molti abbiano bollato questo genere di riflessioni come “nostalgicherie”. Peggio per loro. C’è il rischio che uno come Fontana, o magari qualcuno dei suoi amici, abbia ancora molto da insegnare a chi fa arte oggi, se solo ci fossero la pazienza, l’umiltà e l’intelligenza di fermarsi a guardare.
Omaggio a Lucio Fontana, Fondazione Marconi, fino al 31 ottobre
Foto: Lucio Fontana, Concetto Spaziale, Teatrino, 1965, Collezione privata. © Fondazione Lucio Fontana