“L’Avventurosa storia dell’Uzbeko muto” racconta, con umorismo, la storia di giovani cileni che, giocando alla Rivoluzione, finirono per farla davvero
Ci sono libri di cui mi piacerebbe vedere la nascita. Immagino l’autore sedersi alla scrivania (o forse, chissà, in treno, su uno scomodo sedile di seconda classe), aprire il proprio portatile (o, perché no, un vecchio taccuino) e immergersi in quel mondo bello e terrificante da cui nascono le grandi storie.
Mi piace pensare che la gestazione de L’Avventurosa Storia dell’Uzbeko Muto si sia conclusa un mezzogiorno di una ventosa giornata d’autunno, su un tavolo di legno grezzo della casa asturiana di Sepùlveda, vicino a una tazzina di caffè e a un posacenere pieno di mozziconi.
Mi piace pensare, insomma, che il luogo natale di questa raccolta sia un luogo intriso di malinconia, e mi piace pensarlo proprio perché solo un’overdose di malinconia avrebbe potuto dar vita a racconti da cui la malinconia sembra essere stata bandita.
Sepùlveda racconta la storia della sua generazione, un esercito di giovani cileni che, giocando alla Rivoluzione, finirono per farla davvero.
Ma, come sosteneva l’economista cubano Oscar Espinosa: “certe faccende o si ricordano con un po’ di senso dell’umorismo o è meglio parlare d’altro”. Sepùlveda sembra essere pienamente d’accordo e analizza i cruciali anni del Cile attraverso la lente di un’affettuosa ironia, con il sorriso clemente e beffardo di chi i vent’anni li ha passati da mezzo secolo ed è pronto ad ammettere che tutta quella sicurezza, tutta quella spocchiosa convinzione di aver sempre ragione siano state solo un grandioso, bellissimo sogno di gioventù.
La Rivoluzione è una faccenda complicata, e ricordarla solo attraverso le voci dei suoi grandi eroi significherebbe privarla di autenticità. Così, accanto ad un Ernesto Guevara ritratto nelle sue ultime ore di vita come un moderno Socrate, incontriamo ladri sgangherati alle prese con una rapina camuffata dietro il nome di “esproprio proletario”, ragazzini pronti a scrivere la storia con due biciclette e un po’ di esplosivo e militanti dell’Esercito di Liberazione Nazionale salvati dall’ anziana proprietaria di una pensioncina di Santiago. Tutti giovani, tutti uniti dal nobilissimo proposito di cambiare il mondo, pur non sapendo bene da che parte iniziare.
Storie di persone comuni, dunque, né eroi né perdenti, semplicemente umani, in cui fa capolino la vicenda personale di Sepùlveda, dalla breve esperienza all’Università Lomonosov di Mosca alla militanza nell’Esercito di Liberazione Nazionale.
Sepùlveda ci parla della Rivoluzione che ha vissuto e degli ideali in cui non ha mai smesso di credere, e lo fa mettendo nelle vite degli altri un po’ della propria, ripercorrendo gli anni difficili e incredibili in cui, come spiega all’inizio del primo racconto “siamo stati giovani senza chiedere il permesso”.
È una vita fatta di lotte, quella dello scrittore cileno, e per questo ora mi piace immaginarlo al sicuro, in quella casa nelle Asturie, mentre fuma l’ultima sigaretta della mattinata guardando il vento increspare l’oceano.
L’Avventurosa storia dell’Uzbeko muto di Luis Sapùlveda (Guanda, marzo 2015, pp. 160, 14,50€)
Immagine: Revoluciòn descolorida di Jaume Escofet