Bond girl dalla psicologia sfaccettata (Léa Seydoux, Ana De Armas, Lashana Lynch) e cattivoni impagabili come Christoper Waltz e Rami Malek in “No Time to Die”, quinto capitolo (su 25) delle avventure di 007 interpretato in 15 anni da Daniel Craig. Che si congeda dal ruolo in una veste meno da macho, più “sensibile”, un po’ agée, malinconica. Non senza distribuire pallottole e cazzotti
Alla presentazione mondiale dell’ultimo film della saga di James Bond, No Time to Die, all’Albert Hall a Londra, c’era il gotha della società e dello spettacolo. Kate Middleton risplendeva, anzi, sfolgorava in un vestito d’oro che la faceva sembrare un’apparizione dall’Olimpo e aveva un volto insolitamente disteso. Accanto a lei il sempre impeccabile William, e poi Camillla e un divertito Carlo, che con il suo crescente problema di couperose andava in giro a chiacchierare non solo con gli attori, ma con chicchessia, dalle guardie ai camerieri. Quanta umiltà. E poi c’era lui, James Bond, alias Daniel Craig, che indossava uno smoking con giacca doppiopetto in velluto rosa ciclamino. Sembra un dettaglio ininfluente e invece è il nostro punto di partenza per commentare l’ultima fatica bondiana diretta da Cary Fukunaga. Ed è il caso di pronunciare la parola fatica, considerando che il film ha dovuto aspettare, causa Covid, quasi 2 anni prima di essere in sala.
La bellissima giacca di Craig ci consegna due informazioni preziose per affrontare la visione del film. La prima sta in quel velluto un po’ caldino che ci ricorda l’inesorabile trascorrere del tempo: James Bond è invecchiato e ha bisogno di quiete, affetto, calore. Non dico anche di un caminetto, ma quasi. Quando in questo film deve fare a botte con qualcuno, Craig con le sue orecchie appuntite da pipistrello, ne esce con l’aria sempre più stazzonata. Le ferite sul volto rimangono per gran parte del film. Bond è stanco e nonostante rinunci alla quiete delle sue vacanze in Giamaica per risolvere l’ennesimo attacco al mondo – in questo caso stiamo parlando di una guerra batteriologica – si capisce che ha voglia di farsi una vita, ma una vera, che non sia riempita solo da psicopatici e da lussuose auto rimpinzate dalle effervescenti invenzioni di Q. Forse il più grande privilegio della vecchiaia che Bond ha scoperto è che può permettersi qualche emozione in più. Di provare una fugace, ma autentica commozione di fronte alla possibilità di essere un uomo diverso, di potersi legare a qualcuno, di avere bisogno di qualcuno. Vi dico solo che in una scena del film appare un accenno di lacrime a increspare il bordo dei suoi occhioni azzurri. Fa impressione, davvero. A voi decidere se la cosa vi piace o no.
La seconda informazione passa invece nel colore scelto da Craig per il suo smoking, il rosa ciclamino. Ed è che da anni, grazie alla recitazione piena di sfumature del nostro buon Daniel, ma forse ancor di più dall’”air du temps”, James Bond non è più solo quel macho indistruttibile e insensibile che passa da scazzottata a scazzottata e da donna a donna senza un pensiero, un rimorso, senza un filo di empatia. Il Bond di Sean Connery, quel simpatico mascalzone assatanato di sottane, avrebbe mai potuto indossare una giacca rosa? Impossibile. Daniel invece sì. E questo perché Craig negli anni ha infuso nel suo personaggio una vena di malinconia, di vulnerabilità, di sperdimento che mai prima aveva fatto capolino nei film culto degli anni ‘60.
Anche nei confronti delle donne: sin dal suo debutto in Casino Royale (2006), il Bond di Craig è sembrato sempre meno interessato per le bionde poppute, per sterzare verso quelle problematiche, complesse. Addirittura, il personaggio di Madeleine Swann, la dottoressa interpretata da Léa Seydoux, ritorna qui di proposito in una sceneggiatura che tratta le donne in maniera diversa, meno accessoria, più sfaccettata. Il Bond di Craig le riconosce come individui, non solo come prede. Prendiamo uno dei momenti più divertenti e forse riusciti del film, l’incontro di Bond all’Avana con Paloma, un’agente della Cia incaricata di affiancarlo in una missione ad alto rischio. La Paloma interpretata da Ana De Armas (una vecchia conoscenza di Craig che ha recitato con lei in Knives out), è spiritosa ed efficiente, un po’ folle. E, udite udite, Bond non ci prova con lei. La osserva divertito, ne apprezza l’efficienza e lo humor e basta. Niente guardo marpione, solo rispetto e collaborazione. Forse non a tutti potrà piacere questa svolta, ma, credetemi, non toglie niente al fascino del personaggio. Al contrario. Gli toglie quell’ossessione un po’ mandrillesca di dover timbrare il cartellino con qualsiasi appartenente al genere femminile. Stesso dicasi con la terza donna del cast di No time to die, l’agente 00 Nomi, interpretata da Lashana Lynch, aspirante 007 (alla faccia delle ultime dichiarazioni di Craig che ha capito benissimo come si fa ad accalappiare il pubblico con un click https://www.lastampa.it/ spettacoli/2021/09/22/news/ daniel-craig- james-bond-non-puo-essere-una-donna-1.40729213).
Rimangono i cattivoni. C’è il solito Erno Blofeld, stavolta in un carcere di massima sicurezza, che ricorda un po’ Hannibal Lecter, recitato meravigliosamente dal solito Christopher Waltz; il confronto fra lui e Bond è intenso. E poi c’è Rami Malek che interpreta Lyutsifer Safin, uno dei tanti matti che vogliono soggiogare il mondo (in questo caso la partita include anche uno scienziato russo, il dott. Obruchev, con al suo attivo qualche battuta piuttosto divertente). Malek come sempre è bravo a sottrarre invece che ad aggiungere, e nonostante il suo personaggio abbia pure il volto sfigurato, riesce a non farlo sembrare una macchietta. Anche in questo caso Bond riuscirà a salvare il mondo dai deliri di Safin e dei suoi accoliti e, cosa ancora più importante per lui, riuscirà a salvare la donna che ama e sua figlia. Ed è in questo desiderio di salvezza disinteressata che si compie la sua storia nel migliore dei modi: fra razzi e mazzi, la sua figura, nell’interpretazione di Craig che lascia il ruolo dopo 15 anni, si staglia per un’ultima volta nello schermo gigante e lo fa con dignità e spessore.
Per il resto che dire, godetevi lo spettacolo! Assicurato da una sceneggiatura che, oltre a Neal Purvis, Robert Wade e allo stesso Cary Fukunaga, è affidata anche a Phoebe Waller-Bridges, quella di Fleabag e di Killing Eve per intenderci, e a me che ne sono una devota seguace pare di riconoscerne lo humor in molte delle buone battute del film. Le location sono sempre bellissime, da Matera alla Giamaica alla Norvegia. Le scene d’azione sono sempre mirabolanti e gestite solidamente dalla mano di Fukunaga (il regista di True Detective, FYI). Quindi l’intrattenimento è garantito. Unico neo, se proprio devo dire, la durata del film, 2 ore e 40 minuti, che forse avrebbero giovato di una ventina di minuti in meno.
007 – No Time to Die, di Cary Joji Fukunaga, con Daniel Craig, Léa Seydoux, Ralph Fiennes, Naomie Harris, Ben Whishaw, Rosy Kinnear, Rami Malek, Dali Benssalah, Ana de Armas, Lashana Lynch