Esce il primo film, una sorta di commedia demenziale, diretto nel 2000 da Bong Joon-ho, regista coreano da Oscar e Palma d’Oro a Cannes (2019, con “Parasite”). Si intuiscono già le sue notevoli qualità: occhio attento alla composizione dell’immagine, script che si diverte a divagare ma sa dove andare, critiche coraggiose della società coreana tra ossessioni, paure e misoginia. Si racconta di un ricercatore universitario frustrato, in casa e fuori, che si trasforma in giustiziere di quadrupedi
Yun-ju è un ricercatore universitario pronto a tutto pur di riuscire a conquistare una cattedra, anche a corrompere il suo preside. Peccato che non abbia neanche un soldo e sia costretto a farsi mantenere dalla moglie incinta, che ormai lo disprezza e si vendica della situazione infliggendogli umilianti corvée domestiche. Come se non bastasse, nell’immenso complesso residenziale alla periferia di Seoul dove vive il protagonista, e dove i cani per legge non sarebbero ammessi, in realtà vivono diversi cagnolini, molti dei quali avvezzi ad abbaiare di continuo, offrendo nuovo alimento alle tante rabbie e frustrazioni di Yun-ju. Il protagonista decide così di trasformarsi in una sorta di giustiziere cinofilo e comincia a rapire i cani dei vicini con l’intento di farli sparire. Una decisione orribile, che la sua evidente goffaggine non basta a rendere più sopportabile. E neanche la presenza come co-protagonista della giovane Hyun-nam, maldestra e dolcissima anima bella disposta a tutto pur di riuscire a salvare i cagnolini spariti, riesce a togliere a questo film la sua patina tetra da commedia disperata, che, scena dopo scena esce dallo schermo e si adagia su di noi che guardiamo, senza lasciarci scampo.
Ha il passo della commedia demenziale, Cane che abbaia non morde, opera d’esordio di Bong Joon-ho, realizzata più di vent’anni fa, nel 2000, e finalmente distribuita in Italia anche nelle sale. Una commedia dell’assurdo con scivolate nel surreale più puro, bizzarri personaggi alle prese con i fallimenti (tutt’altro che inspiegabili) delle proprie vite, situazioni tragicissime che si spingono ben oltre il limite del grottesco, strappando risate che subito si piantano in gola, come schegge acuminate.
Il regista coreano, che il grande pubblico ha scoperto nel 2019 con Parasite (Palma d’oro a Cannes e Oscar come miglior film) già da giovane dava prova di grande talento e di una lucidità di sguardo fuori dal comune, riuscendo a comporre un quadro profondamente pessimista ma ricco di sfumature della propria società, e in generale delle relazioni umane. Una riflessione amara ma sempre partecipe, che inseguendo i caotici fili delle tante esistenze (spesso reiette, disadattate, infelici) che si intrecciano nel microcosmo di un alveare di cemento da qualche parte alla periferia di Seoul, quindi in apparenza assai lontano da noi e dalla nostra esperienza, riesce a raccontare una storia che ci riguarda.
Il primo pregevole tassello della filmografia di Bong Joon-ho contiene comunque già tutte le qualità del suo cinema più maturo: un occhio strepitoso per la composizione dell’immagine, una sceneggiatura che si diverte a divagare ma sa sempre esattamente dove andare, il coraggio di portare avanti una critica mai edulcorata della società coreana, delle sue ossessioni, delle sue paure, della diffusa misoginia. E della pervasiva violenza che sembra condizionare la vita quotidiana e innervare ogni relazione tra gli individui, giovani e vecchi, ricchi e poveri, buoni e cattivi.
Cane che abbaia non morde di Bong Joon-ho, con Sung-jae Lee, Du-na Bae, Doona Bae, Ho-jung Kim, Su-hee Go