Ma dove sei finito, Woody (Allen)?

In Cinema

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Attori di nome, gag surreali, un copione ambizioso: ma “Magic in the Moonlight” è un’occasione mancata. E del Woody Allen di un tempo neanche l’ombra.

Berlino, 1928. In primo piano la locandina di uno spettacolo del mago Wei Ling Soo, illusionista cinese in grado di sbalordire il pubblico facendo scomparire elefanti e avvenenti fanciulle, fra sarcofagi a forma di sfinge e applausi scroscianti, il tutto sulle note ipnotiche del Bolero di Ravel. È un’illusione, ovviamente, tutto è finto in questo universo di cartapesta dai colori sgargianti, anche il protagonista dello show!

Sotto il pesante trucco di scena si cela infatti il signor Stanley Crawford (Colin Firth), inglese doc, arrogante e snob quanto basta: ci viene subito presentato come un campione del razionalismo, nemico giurato di ogni forma di occultismo, misticismo e in generale di ogni fede nell’irrazionale, si tratti di sedute spiritiche o di pratiche religiose. Insomma, un bel tipo, il signor Crawford: vive di imbrogli, ma gli imbroglioni li detesta, e ancor più detesta gli ingenui che si lasciano ingannare. Per questo, quando un vecchio amico gli propone di smascherare una sedicente medium (Emma Stone) il nostro eroe non si fa certo pregare.

È questo l’incipit di Magic in the Moonlight, e tutto il resto scorre di conseguenza, senza sorprese, né particolari colpi di scena. Fra una festa in maschera, una corsa in macchina e uno spettacolo di magia, si dibatte di psicoanalisi e filosofia, della morte di Dio proclamata da Nietzsche e del velo di Maya che ci regala illusioni ma ci impedisce di vedere la realtà. E qui il filosofo citato è l’infelice Schopenhauer.

Insomma, grandi temi, domande importanti: Dio esiste? C’è vita oltre la morte? L’universo risponde a un disegno razionale? E l’amore? Davvero basta a darci l’illusione dell’eternità? Ma le risposte che il prestigiatore Woody Allen tira fuori dal cappello sono assai banali. E tutto viene ridotto a formato popcorn, da consumare fra una risata e l’altra nel breve volgere di un film tutt’altro che memorabile. Amabile al palato ma inconsistente, come un vinello fresco che si può bere con piacere, a patto di non aspettarsi un’estasi del gusto.

In realtà parlare di cose serie, persino gravi, con la magnifica leggerezza di uno sguardo partecipe e al tempo stesso disincantato, non è affatto impossibile. C’era un regista che ci riusciva, si chiamava Woody Allen, ma accadeva molti anni fa.

“Magic in the Moonlight”di Woody Allen, con Colin Firth, Emma Stone, Eileen Atkins

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