Chandra Livia Candiani, una minuscola poetessa mezza russa mezza milanese ha incontrato oltre 1.400 bambini; li ha presi per mano e ha insegnato loro a trovare la poesia dove si trova davvero: nel mondo.
Le parole sono come i fucili
il lancio dei dadi
la campanella che suona
il passero che canta
le parole sembrano le calamite
che si respingono
Queste sono le parole di Hui Ming, che non è un poeta dello Zen del dodicesimo secolo ma un bambino cinese di dieci anni che vive a Milano. Questo bambino, oltre ad altri 1400 altri bambini, ha incontrato Chandra Livia Candiani, una minuscola poetessa mezza russa mezza milanese – un quarto aliena, anche se la matematica qui non aiuta – con una voce di tenero midollo, che li ha messi in cerchio, li ha presi per mano e ha insegnato loro a trovare la poesia dove si trova davvero: nel mondo. Anche nel loro mondo, quel pianeta disadorno dell’orbita periferica di Milano, dove secondo Giorgio Il mondo è come un gioco/qualche volta cammini/ e trovi parolacce scritte sui muri/però esiste lo stesso la felicità. È un mondo in cui gli adulti sono “grattacieli inferociti/ma dentro sono piccoli appartamenti graziosi, come dice Priscilla, poetessa di dieci anni. Per Chang invece Il mio mondo è tanto bello, c’è di tutto/il bianco come neve, giallo come sole/alto come albero/basso come bambino..
Queste poesie sono raccolte nel volume Ma dove sono le parole?. Quando ho visto questa perla sullo scaffale della sezione poesia mi è sembrata una piccola navicella di carta, così vulnerabile, eppure misteriosamente protetta dalle bordate delle “grandi navi” editoriali, che tirano migliaia di copie e non mi toccano mai il cuore. (Mi accorgo ora che in copertina, in effetti, c’è un aeroplanino di carta). Dalla prima pagina questa raccolta si accovaccia nel cuore, senza chiedere il permesso, e rimane lì, a covare. Candiani e Cirolla, i due curatori del volume si sono incontrati per sfogliare il materiale raccolto da Candiani dal 2006 ad oggi e hanno individuato otto nuclei tematici: il silenzio, le parole, l’autoritratto, il mondo, l’addio, i grandi, quello che conta e, ovviamente, la poesia.
Una sezione del libro è interamente dedicata ai bambini Rom, “per loro la poesia è spesso più facile”, dice Chandra, “hanno le canzoni e la musica, hanno la notte e la morte, hanno l’abitudine al dolore”. Con loro Chandra sente un’affinità particolare, prova rabbia quando gli altri bambini non vogliono stringere loro la mano in cerchio, forse anche perché lei “è stata tanto una da non invitare alle feste alle elementari, mi sento loro complice”.
Se la scuola – senza Chandra – sia un luogo di cura o di scempio della poesia, per me resterà per sempre un interrogativo aperto, una domanda che emerge chiaramente quando si leggono versi intensi come Il silensio mi pasava tra le vene/sembra infinito il silensio, vibrati dalla penna di Marius, schivato all’addomesticamento scolastico. Mai una volta a scuola mi è capitato di pensare che le parole quando/sono belle sorridono, come mi insegnano i dieci anni di Giosef, un altro piccolo poeta Rom. (Rom, in realtà, non vuol dire niente, sono talmente tante le suddivisioni che dire rom è come dire che io sono europea).
Sono davvero felice di vivere in quest’epoca confusa e persa. Ne sono felice perché tutta questa perdita di direzione e di senso sta lasciando spazio a nuove visioni del mondo: ci stiamo accorgendo della disarmante lucidità dei bambini, dello slancio con cui vanno all’arrembaggio dei grandi temi filosofici, di quella rivoluzionaria libertà con cui i bambini – aiutati dalla bambina pugile Chandra – ricombinano le emozioni e le parole per raccontarci che l’asfalto era grigio/come la svogliatezza/gli alberi erano spogli/come l’ansia/ e il letto era morbido/come la gioia, come scrive Clara.
I bambini non hanno nessuna paura di guardare le contraddizioni: Arrivo in Egitto/e vorrei star lì per sempre/il giorno dopo/voglio ritornare a Milano, dice Omar che con precisione tautologica sintetizza la scissione interiore di migliaia di immigrati, geografici o sentimentali.
I bambini sanno usare l’immaginazione laddove gli adulti oppongono solo contenimento e rigidità, per esempio nell’addio, che per Giovanni, dieci anni dall’Ucraina, è quando devi lasciare tutto/come un gatto triste/questo è lasciare tutto. Come dice Denisa, nove anni dall’Est Europa, L’addio è un vento che passeggia/per fermare l’amicizia. I bambini sanno usare la semplicità dove gli adulti s’infagottano di concetti: la poesia/ è una lunga storia/ che non finirà/di riprodursi/mai, dice Andrea, dieci anni. E’ chiaro l’intento politico di questo manifesto poetico per una rivoluzione della meraviglia, dello straordinario nell’ordinario, è chiaro a partire dall’intima profondità dei paratesti, delle note, della rispettosa decisione di lasciare una poesia per pagina, con intorno tutto quel bianco che fa spazio, fa silenzio, fa podio per quelle piccole voci esili che spesso possono solo strillare tirando i calzoni ai genitori.
Vorrei qua trascrivere tutte le poesie, perché ognuna mi ha fermato il cuore per un istante: più volte ho avuto l’irrefrenabile desiderio di leggerne qualcuna a un amico, per vedere quell’istante di stupore incredulo, lo sguardo che non riesce a credere alla sapienza di quella manciata di anni sulla pagina. Le note di Chandra riportano tanti piccoli episodi, dalla storia di Nashua che aveva perso la mamma, e stringeva forte la mano della sua amica, a quella di Christian delle Filippine che non conosce una sola parola di italiano ma che grazie a una sua compagna di classe ha potuto offrirci una poesia sul mondo degna di Rilke.
Proprio nelle note, scritte piccole piccole, si nascondono i potenti episodi di Chandra con i bambini – ai poeti piace essere piccoli, limpidi, liberi come dice Gualtieri. Uno dei più belli per me è l’episodio di Willi, dieci anni, che a Chandra aveva detto che non avrebbe scritto, perché “sono tutte stronzate” e quando poi Chandra lo ha visto prendere foglio e penna e scrivere forsennatamente gli ha detto “Ma Willi….tu scrivi!”. Lui ha risposta “Taci, poetessa”. E ci ha regalato questi versi:
La mia casa interiore
Io sono stonato
e la mia anima si si sissi sissi sissi vuole carezza
la mia morbida anima