Rigoletto, Bhoème e il dittico Cavalleria rusticana – Pagliacci al Macerata Opera Festival. Un’opportunità per un fine settimana fuori dal Comune
«Addio maceratesi! Voi avete meritato che ci dividiamo commossi», scrissero nel Settecento dei pellegrini diretti nella ben più sacra Loreto, ma sensibili alle piazze storte e agli scorci di campagna marchigiana che si schiudono dall’ermo colle di Macerata. Un saluto che condivido, dopo il primo weekend di mare di questa torrida estate, soprattutto se si tiene conto che la mia ostinata milanesità mi ha sempre tenuto lontano dalla costa tra Rimini e il Salento: e così si può scoprire a poco meno di trent’anni che Macerata non è sul mare, ma per poco, e che quindi avrei dovuto portare il costume da bagno.
Tra i tanti motivi per discendere la riviera adriatica fino a Macerata ci sono il tecnologicissimo allestimento di arte antica di Palazzo Buonaccorsi, con la Galleria dell’Eneide appena restaurata, e in cui si può giocare a decidere quale stemma degli accademici catenati ci rappresenta di più – se l’ardito, il custodito, l’angustiato o uno dei tanti altri. Poi c’è il Palazzo della Biblioteca, e soprattutto c’è l’Opera allo Sferisterio, alle nove di sera per tre fine settimana tra luglio e agosto. La struttura dello Sferisterio è strana, non proprio semicircolare perché più schiacciata, direi tra il semiovale e il semiellittico, e ogni estate vi si sprigionano i tormenti melodrammatici del Macerata Opera Festival, col tramonto che scorta tutti – cantanti e pubblico – nelle ore notturne.
Sono pop e di grande effetto i tre titoli della programmazione (in corso dal 17 luglio) di Francesco Micheli, che dal 2012 porta avanti lo storico appuntamento musicale, giunto alla cinquantunesima edizione: Rigoletto, il dittico verista Cavalleria rusticana–Pagliacci e la Bohème, tre opere corporee, piene di ruvidezza e istinti.
Nutrire l’anima è il tema del 2015, un riferimento all’Expo per cui potevano andare bene anche altre opere, purché grandi abbastanza da diventare «per lo spirito necessità primarie non meno del cibo per il corpo» dice Micheli. Se quindi il tema propriamente alimentare c’entra solo come analogia, il tratto comune ai quattro titoli è che segnano il punto di svolta dei rispettivi compositori: sono opere di rinnovamento. Con Rigoletto e Bohème, Verdi e Puccini quasi quarantenni si sono aperti uno spiraglio per una poetica inedita, cercata più o meno confusamente in tutta la prima parte della carriera. Cavalleria e Pagliacci sono invece capolavori non più replicati di Mascagni e Leoncavallo.
Così si capisce ancora di più come in questo clima di svecchiamento dell’Opera, priorità assoluta dell’impostazione di Micheli, le serate siano state affidate a tre giovani registi già di buona fama. Federico Grazzini, fiorentino poco più che trentenne, ha allestito un Rigoletto horror in un luna park abbandonato, per i titoli veristi si è scelto Alessandro Talevi, regista sudafricano con evidenti ascendenze italiane, molto amato da una parte della critica, infine il pluripremiato Leo Muscato con la sua Bohème, che debuttò proprio allo Sferisterio nell’edizione del 2012.
Due debutti e una ripresa: questo lo sforzo miracoloso di un festival sano, ma minacciato da tagli economici spregiudicati stabiliti da gente che non nota l’attività di chi fa cultura con energia e concretezza, portando tra le stradine di un paesone bello ma un po’ defilato un respiro europeo da fare invidia alle iniziative milanesi di quest’estate.
I numeri sono infausti: dal 2012 la Camera di commercio ha ridotto il finanziamento da duecento a trentasei mila euro, l’agonizzante Provincia da quattrocento a cinquanta mila, mentre il bilancio provvisorio della Regione sta confermando solo il venti percento del finanziamento di trecento mila euro. Tutto questo per un festival che sotto la gestione di Micheli è arrivato a cinquecento mila euro di sponsor e sala sempre piena.
Ma per dimenticare i numeri, passiamo agli spettacoli.
La prova di Grazzini è splendida, e segue con disinvoltura l’incalzante rapidità dell’azione di Rigoletto. Non è tanto la roulotte dove sta Gilda, o il chiosco di Sparafucile che riscalda piadine ai travestiti a rendere interessante lo spettacolo, quanto aver compreso che Verdi ha scritto un’Opera oscura e inquietante: realistica prima che tragica. Dall’incontro tra il buffone e l’aguzzino, al rapimento di Gilda, fino alla tempesta l’atmosfera è notturna, cupa, persino paurosa. La qualità delle scene è cinematografica, angosciante come in un episodio di True detective.
La direzione di Francesco Lanzillotta è buona, mai sottotono, giusta nell’impellente raffigurazione melodica. E se Vladimir Stoyanov è un ottimo Rigoletto, con begli acuti e recitazione completa, Jessica Nuccio è una Gilda graziosissima, specie nel suo Caro nome bambinesco in cui saltella su una panchina; Celso Albelo convince come Duca, un personaggio che va sempre lasciato un po’ abborracciato, incompiuto; strepitoso infine lo Sparafucile di Gianluca Buratto, in un ruolo troppo marginale per una voce così importante.
La regia di Talevi di Cavalleria e Pagliacci non trova invece unità, né locale né globale, ma si accontenta di una bella cornice liberty che resta contenitore senza riuscire a diventare scena. E non basta la Madonna in persona che compare nell’intermezzo di Cavalleria, o i bambini che sventolano uccellini appesi durante Stridono lassù in Pagliacci. In compenso è molto intensa la prova vocale di Anna Pirozzi, Santuzza in Cavalleria e Nedda in Pagliacci, con al suo fianco Rafael Davila che la abbandona o la uccide a seconda del titolo. Validissimo Marco Caria, baritono nell’atto unico di Leoncavallo, e che avrebbe forse fatto meglio di Alberto Gazale, Alfio nell’opera di Mascagni. La direzione di Christopher Franklin manca di quel respiro sinfonico che le partiture richiederebbero.
È un’occasione infine la ripresa della Bohème di Leo Muscato, perfetta nella fresca programmazione di quest’anno, con l’ambientazione in una Parigi sessantottina, tra discoteche e comuni di artisti variopinti e teneri, giovani, romantici, che si ingegnano per distrarsi dal freddo, dalla fame, per cavarsela e venir fuori da una bella gioventù che li relega nelle soffitte. E quindi scioperi, murales, parrucche e “cannoni” da fumare, con la vita che incombe in tutte le sue declinazioni, vita che è spesso deviazione e imprevisto, incomprensioni, malattia e una morte a vent’anni, anche se «quando si è giovani è strano», come canta Guccini. Commovente la complicità tra Carmela Remigio e Arturo Chacón-Cruz, bellissimi e in totale sintonia con l’atmosfera scapestrata e sorridente dello spettacolo. Un poco disordinata la direzione di David Crescenzi, soprattutto nel secondo quadro, gioiello d’insieme da seguire con più scioltezza.
Nutrire l’anima – Macerata Opera Festival 2015. Ancora in programmazione: La Bohème (7 agosto), Cavalleria Rusticana/Pagliacci (8 agosto), Rigoletto (9 agosto)
Cosa non perdere da oggi al 10 agosto
Inizia agosto: Milano si svuota e la programmazione musicale langue. Per chi resta in città, il Circolo Magnolia resta un faro sempre acceso. Giovedì 6 è il turno della dancehall di Vito War, che ci riporta alle origini del genere con il suo dj set Back to the Rootz. Vitaliano Fiorentino, considerato il Padrino del reggae in Italia è attivo sulla scena live da quasi trent’anni e dall’88 conduce Reggae Radio Station su Radio Popolare.
Tra i cartelloni più sorprendenti di quest’anno, l’Estathé Market Sound merita sicuramente il podio, per la varietà di artisti ospitati e per aver trasformato i Mercati Generali in un vero e proprio centro di aggregazione, registrando una grande partecipazione di pubblico. Per gli amanti dell’hip hop, sabato 8 è una data da non perdere. Lineup: Bassi Mestro w/t dj Zeta & Loop Therapy, Rancore & dj Myke E-Green. A partire dalle 16.
In occasione di Expo, l’Edison Open Garden, il giardino della Triennale, diventa il palco outdoor di Open Night, una rassegna che convoglia i più disparati filoni musicali: dal jazz del Bosforo, all’elettronica tedesca, al tex-mex… Sabato va in scena l’inedito duo musicale composto da Franca Masu e Fausto Beccalossi: l’una, acclamata interprete e autrice del folk sardo-catalano, l’altro, fisarmonicista di fama internazionale, noto tra l’altro per la collaborazione con Al Di Meola. Per un pubblico raffinato.
Immagini: © Tabocchini