Ballo, musica, canto, recitazione, luci e video si muovono insieme con un fine, la narrazione di una storia. Lo spettacolo del compositore bolognese, presentato alla Scala in prima mondiale nell’ambito del Festival Milano Musica, mette in scena la vicenda drammatica di una violenza di genere ispirata da un romanzo ma tragicamente comune nelle cronache quotidiane. A dirigere Michele Gamba. Sul palco Roberto Bolle e Antonella Albano, straordinaria nella parte della protagonista
Non vi lascerà tranquilli la ragazza che, stretta in un abitino rosso fuoco o sangue, corre, cade, combatte e soffre in questi giorni sul palcoscenico della Scala. Braccia violente si allungano sul suo corpo in fuga dal dolore. E sono sempre i muscoli fessi di un uomo – padre, zio, fratello, amante, soldato – a pretendere di piegarla, a imporle un culto della violenza che alla donna non appartiene. La giovane in rosso è di quelle eroine forti e orgogliose che non si piegano alla violenza sessuale subìta e hanno il coraggio di rifiutare la morte che le ordinano di infliggere a sé e agli altri. Infine non potrà che abbattersi, sconfitto, il coro di violentatori vicini e di spettatori lontani che il corpo di ballo le muove addosso fino a sfinirla.
Madina è uno spettacolo che diremmo di teatro totale. Danza, musica, canto, recitazione, scene, luci e video si muovono insieme, non necessariamente in eguale misura e identici ruoli, alla realizzazione di un obiettivo comune, ch’è la narrazione di una storia. E la storia viene da un libro – La ragazza che non voleva morire, di Emmanuelle de Villepin, pubblicato nel 2008 da Longanesi -, ben lontano dalla fiction, anche troppo vicino alla realtà che ogni giorno disturba la nostra quiete con le tragedie del mondo in cui la guerra è lì ogni giorno.
Madina è una ventenne di Grozny che, dopo essere stata stuprata da un commando dell’esercito occupante, lo zio arruolato nella “resistenza” e nel movimento terrorista in nome di Dio, tenta di trasformare in kamikaze, per farne carne da macello, dopo che i soldati ne hanno fatto carne da piacere. Madina rifiuta il mondo maschile che la soffoca e si libera della cintura esplosiva che la sta per uccidere una seconda volta senza appello, anche se ciò, senza colpa, farà una vittima: l’artificiere che tenta di disinnescarla. Divisa tra una realtà “altra” e una “nostra” (questa sì, precisamente connotata: Parigi), la storia ha il suo epilogo in un processo e in una condanna che rispondono alle logiche di un sistema sociale, ma non annientano l’atto di coraggio né riducono la forza del gesto.
Non tutto di questa storia di ordinaria follia è narrato in dettaglio dallo spettacolo che, pur inserito nella stagione di Balletto e del Festival Milano Musica (quattro repliche ancora, il 6, 7, 12 e 14 ottobre), avrebbe i caratteri e le risorse linguistiche per sconfinare in quella dell’Opera. Fabio Vacchi, compositore e autore primo del progetto, mosso dalla lettura di un romanzo che “già mi sollecitava nella sua scrittura organizzata per scene”, ha scelto di sfumare geograficamente e politicamente il teatro di violenza in cui si consuma la prima parte del dramma. Giusto: Cecenia, Medioriente, Siria, Afghanistan? L’incertezza non riduce l’impatto. Nel vago rimangono anche i dettagli narrativi del suicidio terrorista sventato: in scena si fa musica, si canta, si recita e soprattutto si balla un moto sofferto di violenza che ha nel corpo di Madina il suo centro esplosivo.
Emmanuelle de Villepin ha tratto un libretto in energica sintesi dal suo romanzo: quattro stringatissime pagine di monologhi, assoli e dialoghi che, appunto, ai dettagli della storia preferiscono i moti dell’animo di chi condivide o commenta il dramma di Madina. Li cantano le voci impostate di un mezzosprano (Anna-Doris Capitelli) e di un tenore (Chuan Wang); li amplificano le parti per coro, registrato e per questo ancor più evocativo nella sua spazialità venata di eco elettroniche.
A tenere più forte il filo del “plot” sono le parti narrate, affidate a un giovane attore, Fabrizio Falco, sbocciato al Piccolo Teatro fra le mani di Luca Ronconi nel suo ultimo spettacolo, la leggendaria Lehman Trilogy. Buona scelta perché Falco non conosce il vezzo della retorica che guasta gli accenti di molti suoi colleghi, anche più esperti, e qui sarebbe fuori luogo. Ai testi in prosa sono consegnate le notizie essenziali del racconto ma anche in questi prevale la sollecitazione psicologica.
La scrittura per orchestra, estesa, diretta da Michele Gamba, si addensa e si distende secondo i principi che Fabio Vacchi ha sempre coltivato, forte di una tecnica che ha fatto sue le sperimentazioni della contemporaneità, ma non teme di entrare nei confini rassicuranti della tonalità e di forme consoliate dalla tradizione. Un arco teso verso un finale potente e percussivamente parossistico percorre la quasi ora e mezza dello spettacolo, diviso in tre lunghi quadri, e conferma le parole di Vacchi quando ammette che, rispetto al passato, la pulsazione ritmica è più estesa che in lavori passati (ma già in Teneke, l’ultima sua opera andata in scena alla Scala nel 2007, questa dimensione era ben presente). Nessun pubblico ha comunque da temere di essere escluso dalla complessità del rito, e la risposta alla prima rappresentazione lo conferma.
Mauro Bigonzetti imprime alla coreografia il suo linguaggio incisivo, la sua gestualità angolosa e spezzata, che esalta la violenza delle dinamiche interpersonali. Roberto Bolle, con accenno di barba vagamente extraeuropea, vira nel forse unico ruolo cattivo della sua carriera mettendosi al servizio di una parte (Kamzan, lo zio di Madina), nefasto ma quasi gregario per l’eroina.
Sul fondale dello spazio scenico pensato pure per astrazioni da Carlo Cerri (scene, luci, video), scorrono città in fiamme, devastate da guerre che nella realtà nemmeno più ci toccano. Nei costumi attuali e poco “folk” di Maurizio Millenotti, danzano solisti di qualità come Martina Arduino, Gioacchino Starace e Gabriele Corrado e un Corpo di ballo coraggiosamente flessibile.
Ma tutte le diversità, tutte le sollecitazioni anche centrifughe di questo spettacolo totale hanno un cuore pulsante in lei, Antonella Albano, Madina straordinaria, personaggio ma soprattutto donna che soffre come Strehler avrebbe voluto: “vera come la vita”. Nel suo corpo si concentra e dal suo corpo deflagra il dramma di tutti coloro che stanno in scena e l’emozione nostra, che del dramma dovremmo essere solo spettatori. Giusto così. Nessuno avrà da lamentarsi se la verità di questa danzatrice appassionata sarà la cosa più forte e inquietante nella memoria di Madina.
Immagine di copertina: Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala