Cento metri e una linea immaginaria separano la casa della trentenne Margaret, musicista in crisi, e della madre, da lei aggredita, che ha perso l’udito. Il giudice ha deciso che le due donne devono stare lontane, pena il carcere per la giovane, e il film della franco-svizzera Ursula Meier riflette sulla loro fragilità, l’incapacità di ricostruire il rapporto. Valeria Bruni Tedeschi e Stéphanie Blanchoud reggono un duetto-duello sincero, che tra sentimenti ed emozioni si interroga sui limiti delle relazioni familiari
Non è simpatica Margaret (Stéphanie Blanchoud), protagonista di La ligne di Ursula Meier. Ha trent’anni, è una musicista fallita, detesta sua madre al punto da arrivare a picchiarla e sembra totalmente incapace di tenere a bada desideri e pulsioni. L’unica persona nei cui confronti si sente responsabile, e riesce a essere amabile e generosa, è la sorellina Marion, e pur di continuare a darle lezioni di musica è disposta a tutto, anche ad accettare di suonare all’aperto, in mezzo alla neve, rispettando una linea arbitrariamente tracciata nel terreno, i cento metri di distanza dall’abitazione di sua madre che secondo il giudice che l’ha condannata non dovrà mai superare, se non vuol essere arrestata e costretta a scontare per intero la sua pena. Anche la madre di Margaret, Christina (Valeria Bruni Tedeschi) non è simpaticissima. Fin da subito ci appare come una donna incapace di vera empatia, che forse soffre di un disturbo istrionico della personalità, di certo non è mai venuta a capo delle proprie fragilità e non ha mai imparato a interessarsi delle vite degli altri, nemmeno delle proprie figlie.
Come nei suoi film precedenti, Home e Sister, la regista franco-svizzera Ursula Meier non fa sconti: mette in scena teatrini familiari apparentemente privi di speranza, racconti complessi di nevrosi e infelicità, con uno stile asciutto, cronachistico quasi, e una notevole capacità di raffreddare il dramma e definire affetti e relazioni in modo tutt’altro che banale. Nella prima scena, tutta in slow motion, la figlia che aggredisce la madre, il pianoforte come oggetto del contendere, la madre che finisce per battere la testa e perdere l’udito, sono descritti in modo realistico e al tempo stesso simbolico, riuscendo a dare conto dell’amore che lega indissolubilmente le protagoniste, e al tempo stesso del rancore, della rabbia che non passa, non si diluisce, non può fare a meno di rivendicare la propria presenza malsana e vitale.
Evitando il melodramma, ma ascoltando sentimenti ed emozioni, la regista si interroga sui limiti delle relazioni familiari, non si sottrae al grottesco, ma soprattutto esplora paure, misura distanze, interroga traumi. È un mondo tutto femminile, o quasi, quello di La ligne, ma non c’è redenzione, c’è un continuo riproporre le proprie fragilità, la propria incapacità, sullo sfondo di un paesaggio freddo e brullo, che non riesce a diventare protagonista pur rimanendo sempre in primo piano. Un film scostante, sincero, che a tratti riesce a essere urticante e comunque mai didascalico.
La ligne – La linea invisibile di Ursula Meier, con Stéphanie Blanchoud, Valeria Bruni Tedeschi, Elli Spagnolo, India Hair, Dali Benssalah