La nona di Mahler, diretta dal giapponese Junichi Hirokami, protagonista alla Verdi. In apertura The Expo Variation di Nicola Campogrande
Ascoltare Mahler è una esperienza che può cambiare il nostro modo di percepire la musica. E LaVerdi con il ciclo delle sue sinfonie ha dato un sostanzioso contributo.
Chi ha partecipato il 10 maggio all’ultimo concerto del ciclo (l’Orchestra Verdi era diretta all’Auditorium dal Maestro giapponese Junichi Hirokami) ha assistito a quasi due ore di programma intenso e impegnativo.
Il cartellone apre con un’opera inedita di Nicola Campogrande The Expo Variations: Israele. Frammento di un ciclo di ventiquattro brani commissionati dalla Verdi proprio per l’Esposizione universale che si tiene nella nostra città. Prosegue con la suite per orchestra di G. Mahler, gustosa opera di riscrittura, collages e riorchestrazione su movimenti e pezzi delle suites orchestrali di J.S. Bach. Piatto forte (e conclusivo) della serata: la nona sinfonia in re maggiore sempre di Mahler.
Programma invitante, focalizzato sul grande compositore boemo, ma che non rinuncia a incidere sul presente. E, se da un lato apprezziamo la volontà della Verdi d’essere protagonista, anche nella sfera produttiva musicale di Milano, attraverso la commissione di un opera inedita come The Expo Variations, dall’altra non si comprende il motivo di far eseguire un solo brano di una composizione di 24 pezzi; non dando così modo all’ascoltatore di valutare il valore effettivo dell’opera.
Ma è stata la nona sinfonia in re maggiore di Mahler la protagonista della serata. Ultimata nel 1910 e mai vista eseguire dall’autore (morto il 18 maggio del 1911), è la meno eclatante tra quelle composte da Mahler. In essa la musica sembra abbandonare la dimensione terrestre e sciogliersi in pieghe metafisiche non appartenenti a questo mondo.
L’orchestra pronta e reattiva, eseguendo un programma della durata di quasi due ore, ha meritato gli applausi. In particolare l’esecuzione dei legni e degli archi è ancora impressa nelle nostre orecchie. Hirokami ha diretto con tocco leggero e sicuro, seppur con qualche gesto enfatico.
Unica nota da segnalare: la non sempre perfetta omogeneità dei crescendo o piccole imprecisioni di coordinazione tra le singole parti nei passaggi più scoperti, frutto probabilmente dei ritmi di lavoro elevati che le orchestre di oggi devono sostenere e di conseguenza le poche prove a disposizione anche in costanza di brani impegnativi.