Nel documentario, ancora oggi nei cinema, il giovane cantautore racconta se stesso, ma le emozioni più vere e più intense della sua esistenza sono celate nei testi che canta
“La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita” narrava Forrest Gump in un film di qualche tempo fa. Pensavo a questa frase uscendo dal cinema dove ho visto Mahmood, il documentario dedicato al cantante vincitore di due Sanremo che dalla sua prima vittoria nel 2019 ad oggi ha continuato a crescere in maniera esponenziale, sia in Italia che in Europa.
Due i motivi che mi hanno portato alla citazione: il primo è che vedere raccontata la storia di un ragazzo che ha fatto della contaminazione di suoni e vite il suo naturale e talentuoso brodo di coltura fa impressione considerando il periodo storico che stiamo vivendo, fatto di presenti e futuri estremismi figli di ignoranti intolleranze (ricordo che Mahmood è figlio di una coppia mista italo-egiziana e che i suoi genitori si sono separati quando lui aveva otto anni. Due elementi molto presenti nella poetica delle sue canzoni).
E poi perché il racconto del documentario è leggero e naturale, privo di rabbia o rancore verso il mondo, e senza quelle storie da “predestinato” che tanto piacciono alla narrativa imperante. Certo, Alessandro (nome di battesimo di Mahmood) cantava fin da piccolo e da subito ha cercato di far diventare la musica la sua strada maestra. Ma si è preso anche discrete facciate (due bocciature di fila a X Factor, per dire) e comunque ha continuato a provarci, fino a quando ha trovato la strada giusta a Sanremo Giovani con il suo primo pezzo di successo Gioventù bruciata. Però il respiro del racconto vede un giovane ragazzo di origine sarda che fa una vita normale a Milano (dove è nato) con sua madre, vera coprotagonista nella vita e nel film del cantante.
Nel documentario non ci sono (per fortuna) le immagini del ghetto, della cumpa, delle periferie dove devi farti rispettare se vuoi essere duro e puro. C’è il mondo vero, fatto di studi faticosi, giornate lunghe fatte di lavoro e scuole di musica, sale prove e concorsi vinti e persi.
Onestamente temevo la retorica della periferia che vince contro tutto e tutti, e invece la storia di Mahmood è quella di un talento che si è sviluppato “dentro” la sua intimità. La sensibilità nel saper raccontare storie delicate e difficili, fatte di pensieri affettuosi e dolorosi nei confronti del padre e di parole di grande amore nei confronti della madre che c’è sempre stata, si sviluppa nella sua timidezza e nel suo bisogno di esprimersi in musica. Nel documentario Mahmood racconta un po’ di se stesso, ma le parti più vere e intense escono comunque dai testi delle canzoni. La stessa madre Anna dice che non credeva che suo figlio avesse sofferto così tanto da bambino, perché era comunque sempre sorridente.
E invece dentro il piccolo Alessandro aveva un mondo (rappresentato nel documentario da un castello di Casper dentro uno sgabuzzino) in cui conservava le sue paure, le sue mancanze, le sue ansie. Tutto materiale che è diventato musica, perché non va dimenticato che il ragazzo scrive tutte le canzoni che canta, sempre collaborando con altri. Ma la matrice è la sua.
Ed è forse proprio quella matrice che lo ha fatto diventare anche un fenomeno nazionalpopolare, in Italia e e parzialmente anche in Europa: la sua storia è quella di tante persone, che sono cresciute in situazioni complesse causa genitori separati e con difficoltà nel farsi accettare da una società sempre più chiusa nei confronti di chi è diverso, per colore della pelle o per altri motivi. E quel male di vivere lì nella canzoni di Mahmood c’è, e chi c’è passato lo sente e ci si ritrova.
Poi ovviamente nel film c’è tanta musica – ripresa live nel tour europeo 2022 e nella data di Taormina al teatro Antico oltre che all’Alcatraz a Milano – e qualche testimonianza di colleghi e compagni di lavoro: da una estasiata Carmen Consoli al suo produttore Dardust fino a Paola Zukar, vera “paladina” del mondo Hip Hop italiano che a Mahmood ha dato una mano soprattutto in termini di fiducia e autostima. Ed è anche un piacere capire come sono nate le sue canzoni più famose, da Soldi a Brividi, con tanto di aneddoti comici che non è giusto spoilerare.
Bel docufilm insomma, da non perdere per i fans e godibile per chi vuole saperne un po’ di più su un doppio vincitore di Sanremo che canta in falsetto e che nel tempo è diventato un vero artista cerniera fra diversi modi musicali, uno che con la musica costruisce ponti (basti ascoltare la sua bella citazione di No potho reposare, meravigliosa canzone d’amore sarda inserita nella sua T’amo dedicata alla mamma). E di ponti in quest’epoca frammentata abbiamo tanto, tanto bisogno.
Mahmood il docufilm è stato presentato alla festa del cinema di Roma il 14 ottobre ed è visibile fino a questa sera in molti cinema italiani, qui la lista.