O del fratello dentista di Elizabeth Strout. Che serve a dire dell’autorialità: se non ti senti il più grande specialista al mondo della storia che vuoi raccontare, lascia perdere..
Febbraio 1990: i berlinesi impacchettano frammenti di Muro per i turisti, Occhetto imbastisce l’orazione funebre del PCI, Minghi e Mietta provano il duetto di Vattene amore sul palco dell’Ariston. Poco distante, a Genova, in via Balbi 6, Edoardo Sanguineti fa lezione sulle Ultime lettere di Iacopo Ortis. E’ ordinario di Letteratura Italiana, studioso di Dante, Boccaccio, Foscolo e Gozzano; animatore del Gruppo ’63; curatore di un’importante antologia della poesia italiana del ‘900, poeta da antologia lui stesso e fieramente marxista.
Siede al tavolo di un’auletta al primo piano. Giacca, cravatta, legnetto di liquirizia in bocca. La stanza è grande quanto uno studio piccolo. Rischi di non trovarla, se già non sai dov’è, ad esempio la prima volta che vieni a sentire il Professore: salendo col naso per aria lo scalone monumentale, gloria dei banchieri genovesi, facile che quell’anonima porticina tu la ignori. Dài, non sarà qui, vorrai mica che faccia lezione in uno sgabuzzino. E invece.
Febbraio, in via Balbi, è quasi estate. Oggi tocca a un passo rognosetto dell’Ortis. Per interpretarlo, il Professore utilizza una dichiarazione d’autore, tratta dalla Notizia Bibliografica inserita da Foscolo nell’edizione del 1816.
«Ma come» sbotta allora un Compagno. (S’è alzato: rischia la sedia, non lo sa? qua dentro, in questo retrobottega, in questo oscuro antro da contabili prestasoldi, è una guerra. Per la calca e il caldo una volta uno è svenuto). «Ma come, Professore? – incalza indomito – l’Opera non è Aperta? Non è materiale magmatico, incandescente, offerto alle nostre menti di intepreti? E che ne facciamo del suo amico Eco? Lo buttiamo nel cesso? E Roland Barthes? Da rottamare anche lui?» (rottamare, vabbè, non si usava). «Insomma Professore! si spieghi, ci dica cosa c’entra l’opinione di Foscolo sull’Ortis. Anzi, cosa c’entra proprio Foscolo. Bruci l’Autore, frutto dell’Orrida Borghesia, figlio del Capitalismo, e trionfi il Testo!» (non proprio, ma via, il senso è quello).
Coraggioso, il Compagno Studente. Sanguineti non si scompone, solo sposta il legnetto. Altra boccata gusto liquirizia. «Lei ha ragione – risponde – l’opinione dell’Autore non è Autorevole». Fa una pausa. Rigira ancora il bastoncino, e noi assaporiamo il gioco di parole. «Lei ha ragione, sì: l’opinione di Foscolo non è Autorevole, ma – ancora pausa – è Autoriale».
Quella lenza di Sanguineti, l’Autore Sanguineti. Povero Compagno Studente, col Professore non c’era partita. Quel giorno sono uscita con una certezza: l’Autore esiste e conta. Non è morto, è sopravvissuto al Secolo Breve, è in buona salute e si prepara al gran balzo nel nuovo Millennio.
C’entra con un manuale per scrittori di successo (qui la prima puntata)? Hai voglia: prima di essere di successo, ecco, prima dei milioni di copie, delle traduzioni in settantadue paesi, delle code ai festival, delle interviste di D’Orrico e delle ospitate da Fazio, lo scrittore di successo deve essere Autore.
Che, detto così, non vuol mica dire niente. Non è un gioco di parole che solo un poeta della neoavanguardia, non sa di cosa intelligente. Però ci credo, anche perché me l’ha spiegato facile facile, come si fa coi bambini e con gli americani, Elisabeth Strout a Torino nel 2010, venti anni dopo la brillante ma, diciamolo, oscura battuta del Professore.
L’autrice di Olive Kitteridge (leggetelo, vi prego, leggetelo! Lasciate perdere questo pezzo e correte a comprarlo); dicevo, Strout la vede così. Avete presente quando siete dal dentista? (lei ha un fratello dentista). Vi sistemate sulla poltrona, la poltrona s’inclina, il dottore si avvicina, incombe, vi tocca spalancare la bocca, lui infila lo specillo e poi quel punteruolo con la punta sottile sottile, lo muove di qui e di lì, aggancia un’otturazione, preme su un ponte, dice una cosa incomprensibile all’assistente, voi sempre lì con la bocca aperta, occhi chiusi o aperti a seconda dell’indole.
Visualizzate la scena? Avvertite un certo disagio?
Non è finita. Adesso immaginate che il dottore cominci a sospirare. Degli eeehm lunghi, pieni di incertezza. Come pensasse: ma che diavolo è questa roba? mai vista una cosa del genere in tanti anni! E giù sospironi. Trenta secondi così, e vi sentirete un personaggio nelle mani di Stephen King.
Quello sulla poltrona è il Lettore, dice Strout. L’altro – il dentista – è l’Autore. Ora, ci andreste voi da un dottore pieno di dubbi? Incerto sul da farsi? Non preferireste uno che vi prenda per mano e vi rassicuri, uno di cui ci si può fidare?La sensazione: questo sì che la sa lunga? Uno specialista?
E con un romanzo in mano, preferite sentirvi a disagio (ma cosa sta dicendo? dove mi sta portando questo tizio?) o preferite aver a che fare con qualcuno che, se non lo è, almeno si comporta da esperto? Bene, se non ti senti il più grande specialista al mondo della storia che vuoi raccontare, lascia perdere: non sei un Autore. Così dice Strout. E attenzione: non si parla di storie in sé rassicuranti – Dio ne liberi – ma di storie raccontate con sicurezza, che è tutt’altra questione.
Strout sostiene anzi che questa cosa dell’Autorialità conta tantissimo, viene prima di tutto: della voce narrante, del punto di vista, della trama, dell’intreccio, dei tropi, del concatenamento, di tutte le cose che dovrebbero stare dentro un onesto manuale per scrittori di successo e che lei insegna in non so quale università americana. Più che un fatto tecnico, è un atteggiamento. Una disposizione nei riguardi della faccenda, uno stato d’animo dell’autore che passa nella pagina e la rende accogliente, comoda come una poltrona comoda (altro che dentista), piacevole anche quando ti strazia.
Volendo parlar difficile è anche, l’Autorialità, il manifestarsi di un ruolo sociale: specialista di storie, appunto. La parte che tocca a chi scrive romanzi, ciò che ci si aspetta da lui. E in effetti, ora che ci penso, va avanti così almeno da un paio di secoli, da quando l’Orrida Borghesia ha preso il potere e ha avuto bisogno di romanzi e specialisti di romanzi.
(Che bello sarebbe stato avere Elisabeth Strout come Compagna Studentessa: lei e il Professore si sarebbero intesi al volo, credo, e io avrei capito venti anni prima).
MORALE: Nel 2009 Elisabeth Strout vince il Premio Pulitzer per la Letteratura. Nel 2010 la Scuola Holden la invita a tenere un seminario aperto anche ai non holdeniani paganti come me. Alla fine dell’incontro, l’avvicino. Due giorni che mi preparo la frasetta in inglese, che suona più o meno così: «Gentile signora Strout, grazie di cuore per i suoi bellissimi romanzi. In Italia aspettiamo con ansia il prossimo».
Strout è bellissima e sfinita. Due giorni che fa lezione a troppi Aspiranti Autori. «Me too» risponde. Anch’io lo aspetto.
Il romanzo è un dono. Non solo per i lettori, anche per lei. Viene prima dell’Autorialità, vale più di qualunque Autorevolezza. E non sta in nessun manuale, non lo impari all’Università. Se arriva, sii grato.
Immagine di copertina di Elias Ruiz Monserrat
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