Marcello Jori e Giuseppe Uncini. Due artisti sotto lo stesso tetto, eppure i “sogni dipinti” di uno e le “ombre portate” dell’altro sono inconfrontabili, come mai?
Dopo l’esposizione antologica di Giuseppe Maraniello, la Fondazione Marconi ospita in contemporanea le mostre di due artisti molto distanti uno dall’altro: Marcello Jori (Merano, 1951) e Giuseppe Uncini (Fabriano, 1929 – Trevi, 2008).
All’artista altoatesino sono dedicati i primi due piani della galleria, nei quali trova spazio un’imponente ciclo di opere che ruota attorno alla produzione di George Seurat, in particolare alla sua celebre Grande Jatte, oggi a Chicago. Jori ha realizzato molte versioni del quadro, cambiando di volta in volta formato e cromie; costante rimane però l’inserto di soffici fiocchi bianchi. E di fronte a un’abbondante nevicata, le statiche figure seuratiane non sembrano fare un plissé… Ma Jori non si è limitato a dipingere diverse volte l’opera: si è spinto sia a Parigi, dove ha ripercorso i passi del maestro francese, immortalandoli sulle tele; sia a Chicago, dove ha visto il dipinto e ne ha fatto stampare una copia identica, con la quale è infine tornato sull’isola per realizzare un “quadro sul quadro”. A questi lavori, frutto di fatiche erculee da globetrotter, si aggiungono alcune viste parigine, tra cui la reinterpretazione de La Tour Eiffel, altra opera di Seurat, sempre sous la neige.
Da un punto di vista tecnico questi lavori possono suscitare una certa curiosità, essendo ad acrilico su carta goffrata, il che crea un effetto simile all’acquerello. Ma, per quanto riguarda il “movente concettuale”, si hanno maggiori perplessità. L’attenzione nei confronti dell’arte del passato diventa qui feticismo, la cui unica spiegazione possibile pare essere il vuoto del presente artistico: e forse è proprio questo che vuole esprimere quella miriade di fiocchi bianchi che inneva Seurat. Il padre del puntinismo, maestro del colore (e quindi della luce), non necessita certamente di un lifting per essere più luminoso.
Di un interesse maggiore è la mostra dedicata a Giuseppe Uncini, divisa tra l’ultimo piano della Fondazione e l’adiacente Studio Marconi ’65. Viene proposta una serie di progetti per le grandi sculture in ferro e cemento armato, di cui sono esposti due begli esempi: Sedia con ombra e Ombra di un cubo sospeso. I disegni sono stati realizzati tra il 1959 e il 1977 e in rassegna sono tripartiti secondo i cicli di opere cui si riferiscono: i Cementarmati, le Ombre e infine i Terracementi e le Colline artificiali. Colpisce la tecnica sopraffina con la quale Uncini ha eseguito i suoi studi: si tratti di matita, acquerello o collage, impressionano la solidità e staticità dei volumi, le tensioni quasi magnetiche delle composizioni.
Tutto ricorda il Morandi più metafisico, quello che dipingeva le ombre alla stregua dei relativi oggetti, anch’esse come solidi concreti. Lo stesso accade nell’opera di Uncini, ma in modo più radicale, perché qui le figure geometriche sono trasportate nelle tre dimensioni.
Si apre così il sipario sul retroscena bidimensionale dell’attività dell’artista, che si rivela sofisticato disegnatore, prima che scultore.
Foto: Giuseppe Uncini, Ombra di un parallelepipedo, 1974