con “Vista da qui”, l’attore torna ad Ancona per dirigere quattro giovani attori in un nuovo progetto speciale. Questa volta è una distopia, per osservare da Marte il mondo a disastro climatico compiuto, e immaginare – attraverso i corpi – nuove possibilità.
Come guardare il mondo, in un presente drammatico come il nostro, per immaginare una speranza, magari un’alternativa? Forse, soltanto da lontano, più di quanto abbiamo mai sperimentato. Ad esempio, da Marte. Prova a farlo Marco Baliani, che avevamo incontrato ad Ancona, due anni fa, quando fuori del teatro delle Muse, nel pieno della pandemia, metteva quattro attori in una gabbia di cristallo, a incarnare i nuovi ostacoli alla prossimità con cui imparavamo a fare i conti e un teatro costretto a cambiare. Oggi lo ritroviamo nella stessa città, sempre prodotto da Marche Teatro e sempre con quattro giovani – che questa volta sono Giulia Goro, Alessandro Marmorini, Luigi Pusceddu, Marco Rizzo.
Se però quella dei mesi scorsi poteva essere una opportunità, l’oggi chiede, invece qualcosa di molto più radicale. Ma per farla capire cosa, serve osservarci da fuori, proiettare in una distopia che ha a che fare con la fame di salvezza una Terra falcidiata dal disastro climatico, dall’odio.
Da un disastro già compiuto, suggerisce Baliani. L’unica alternativa possibile, suggerisce questo lavoro, è un altrove spazio temporale in cui quattro sopravvissuti al passato hanno portato con solo una potenzialità di futuro tutta da concretizzare: cinquanta bambini criogenizzati.
In Vista da qui, Baliani e gli attori che dirige danno forma a una urgenza personale e collettiva di utilizzare il teatro come strumento per capire il tempo che viviamo. Anche uscendone, anche riconoscendo la fine di un’era, per immaginarne e raccontarne una all’inizio.
Lo intercettiamo a poche ore dalla prima – lo spettacolo è in scena, al Teatro Sperimentale, il 29 e 30 aprile – per qualche parola sul teatro e la realtà che sarà, “vista da qui”.
Si direbbe la nuova tappa di un percorso: se nel lavoro precedente per Marche Teatro, gli attori erano sotto teca, all’orlo della catastrofe, ora la catastrofe è già avvenuta, se prima il teatro e il mondo dovevano ripensarsi adesso devono, completamente, rifondarsi. È una lettura in cui ti riconosci?
Sì, è così, occorrono nuovi paradigmi narrativi, e in fretta, altrimenti il mondo va alla deriva e sarà troppo tardi dopo. Per cui lo spettacolo è un grido d’allarme e Marte una metafora del deserto che ci attende se non cambiamo direzione, e subito.
Sei tornato a lavorare con attori che hai scelto e seguito molto a lungo, di nuovo, all’indomani di un progetto in cui la preparazione era cambiata. Anche il lavoro con gli attori, in questo ipotetico “mondo del dopo” è cambiato?
No, la qualità personale ancor prima che artistica è quello che cerco sempre con chi lavoro, e serve una dose di grande stupore per mettere piede davvero su Marte, credendoci e facendo sì che lo spettatore accetti la dislocazione spaziale.
Si parte – anche se è solo un sintomo – dal disastro ambientale. Tema oggetto di molte riflessioni, anche artistiche, in bilico fra speranza e disperazione. Come credi si possa raccontarlo, scenicamente, e come si può approcciarlo – in generale – per non esserne sopraffatti?
Lo spettacolo ci prova dando per scontato che il disastro è già avvenuto, ma possono essere tanti i modi di affrontare questo immane conflitto. Mi attendo che nuove drammaturgie ne sappiano toccare l’essenza, senza cadere in facili pedagogismi political correct.
Immagini un futuro che porta con sé grandi dilemmi, anche etici. In un tempo per molti versi complesso come è questo. Come immagini l’altrove che vorresti, e come siamo, noi, “visti da lì”?
Non lo so, le mie visioni sono limitate alla concreta materia dei corpi umani che incontro e alle loro anime, non riesco a immaginarci diversi da come siamo, ma riesco a immaginare che potremmo avere altre storie da raccontarci e altre, molte, da non raccontarci più, come la favola della crescita perenne o del libero mercato che tutto risolve, storie nefaste e malefiche che ci stanno portando sull’orlo del baratro. Ne servono altre, e con questo teatro, ci provo.
foto © Alessandro Cecchi