In ‘Ore di città’ Marco Dapino continua la sua ricerca fotografica su Milano e ce la svela nuova, con cromie inaspettate, a tratti metafisica
Sono andata a scoprire la mostra Ore di Città di Marco Dapino in uno di quei pomeriggi uggiosi, in cui il colore predominante è il bianco delle nuvole che fitte ricoprono la città e ci si ritrova a strizzare gli occhi come in una giornata di pieno sole. Appena entrata nella galleria RB Contemporary un brusco cambio di scenario: un elegante ingresso e due alte stanze ospitano 16 fotografie cariche di cromie inusuali che, insieme all’attento arredamento, contribuiscono a creare un ambiente caldo e quasi domestico, familiare.
Il progetto, che ‘ruba’ il titolo alla raccolta di prose milanesi di Delio Tessa, realizzato da Dapino, milanese, classe ’81, e curato da Angela Madesani, è frutto di uno studio durato circa due anni sulla luce e sul colore, su come queste due costanti cambino il nostro sguardo sulla città, su Milano, e lo contagino della stessa aura che pervade le fotografie.
Basta fermare lo sguardo sulle prime immagini per dimenticare il freddo paesaggio appena lasciato alle spalle ed essere avvolti da visioni dense di una luce particolare, mai vista, proprio perchè sapientemente ricreata e ricercata dall’autore.
È un metodo, questo, che si ritrova anche in altri suoi progetti, come la serie Transports di cui abbiamo parlato qui sempre sulla sua Milano e su come la luce ed il movimento siano in grado di trasformare la visione di paesaggi noti. L’autore fa della sua città il suo luogo d’indagine preferito, declinandolo nelle maniere più svariate ed inaspettate.
Dapino diventa così direttore della fotografia di angoli di città smarriti, aspettando il momento giusto per dare loro nuova vita. Si percepisce in questa mostra una nuova maturità acquisita dagli scatti, un tocco delicato ed onirico, a tratti fortemente metafisico. Niente è urlato o sbandierato, piuttosto sussurrato all’osservatore che si trova a guardare Milano come dalle finestre di una casa.
Una costante che si ritrova in tutto il progetto è infatti la molteplice presenza di frame all’interno delle foto stesse, già a loro volta inquadrate ed incorniciate. Come se lo sguardo non si fermasse ad entrare nelle foto, ma addirittura rimbalzasse tra diversi mondi paralleli che si aprono allo spettatore, lasciandolo spaesato prima di uscire e ritrovarsi in quella stessa, seppur diversa, città.
Fotografie © Marco Dapino