Biografie di grandi donne restituite da autrici contemporanee. È l’idea chiave della collana Mosche d’oro di Giulio Perrone editore: tra le prime Maria Giudice, socialista, giornalista, madre di Goliarda Sapienza, una vita contro ogni convenzione che Maria Rosa Cutrufelli racconta in maniera appassionata e tenendosi lontana dal rischio dell’esemplarità
Fischieranno spesso le orecchie a quella meravigliosa disegnatrice e donna di gran pregio che è Jacky Fleming, per tutte le volte che mi capita di citare o di pensare (e chissà in quante siamo) alla sua intelligente e spiritosissima ‘Breve storia delle donne’ (Corbaccio) e soprattutto alla tavola che in assoluto mi piace di più, quella in cui tante figurette femminili si danno la mano per uscire da un gran secchio dell’immondizia: “Per millenni le donne si sono recuperate l’un l’altra dalla pattumiera della storia…”.
Ho ripensato ancora una volta a Fleming, al suo secchio dell’immondizia e a quella catena di donne chiudendo il volume che Maria Rosa Cutrufelli ha dedicato alla vita complessa e fuori dalle convenzioni di Maria Giudice che riuscì ad essere moltissime cose – socialista, attivista, dirigente sindacale, giornalista – nonché madre appassionata di Goliarda Sapienza, l’autrice dell’Arte della gioia che di Cutrufelli è stata amica e che entra ed esce anch’essa, presenza niente affatto secondaria, da queste pagine.
La riscoperta delle donne che hanno avuto ruolo e peso nelle diverse arti come nella società o nelle scienze e via elencando è ormai da anni in atto attraverso molteplici oggetti culturali: operazione meritoria, utile a sconfiggere oblio e stereotipi più o meno rocciosi e a costruire modelli per le più giovani ma anche, semplicemente, intrigante perché lo sono le vite e i talenti sottaciuti e ora raccontati. Un rischio però c’è ed è quello di incorrere nello stereotipo opposto: e se le donne sono state ignorate dalla storia con la s maiuscola, considerate fragili e minori, esseri dalle ‘teste piccole’ al confronto di quei geni degli uomini direbbe la tagliente Fleming, ora è un profluvio di bambine ribelli, donne forti, figure straordinarie del cui racconto l’‘esemplarità’ rischia di essere il tratto dominante.
Si tiene invece lontana da questo pericolo Cutrufelli e lo fa in virtù del suo talento narrativo e di un materiale biografico di straordinaria, nel senso di inusuale, forza. Restituisce così a Maria Giudice tutti i chiaroscuri di una vita senza risparmio di sé nel pubblico come nel privato e al genere biografico il disvelamento della costruzione, non tacendo né tappando con la fantasia buchi temporali e snodi che restano oscuri nonostante il lavoro d’archivio ed entrando in scena, essa stessa, accanto a Goliarda, amica di scrittura che con quella mamma ha continuato a fare difficili conti.
È un donna che dice no Maria Giudice e ne paga, ostinata, il prezzo: nata nel 1880, diplomata maestra, mescola sin da giovanissima l’attivismo socialista e sindacale al giornalismo, finisce in carcere più volte, espatria, si lega a Carlo Civardi partorendo uno dopo l’altro otto figli e restando ostile al vincolo matrimoniale. Dice no al matrimonio, alle convenzioni sociali, no alla guerra e sarà motivo di rottura con l’uomo con cui tanto ha condiviso, mentre inesausta gira l’Italia tra incarichi di partito e direzioni di testate. Balabanoff, Terracini conosciuto in carcere, il così detestato Mussolini, Gramsci con il quale discute, Kuliscioff e Turati si incontrano nel racconto di Cutrufelli e si attraversano con lei le Italie e le stagioni che Giudice vive: come sarà importante nel 1920 l’approdo in Sicilia, secondo tempo del suo attivismo di partito e secondo tempo delle sua vita sentimentale accanto a Giuseppe Sapienza avvocato socialista, padre di Goliarda, l’ultima di tanti figli, quella così visceralmente amata e dalla quale Maria non si stacca fino alla fine, nel 1953, quasi in contraddizione con il suo pensare i figli entità autonome affidate al mondo. Femminista a modo suo, “se c’è una cosa che Maria non sopporta è trovarsi, di fronte a un uomo, in posizione di inferiorità”, madre a modo suo e sono molte dense le pagine che Cutrufelli dedica a questa maternità vorace e in certa misura contraddittoria e poco decifrabile se messa accanto ad una passione socialista così intensa e coraggiosa.
Una mosca d’oro, insomma, e citando Anna Banti: Mosche d’oro si chiama infatti la collana dell’editore Giulio Perrone che ospita il lavoro di Cutrufelli, diretta da tre autrici – Nadia Terranova, Viola Lo Moro e Giulia Caminito – che ha già licenziato le prime biografe – Jeanne Moreau raccontata da Lisa Ginzburg, Lisa Morpurgo per la penna di Melissa Panarello e, appunto, Maria Giudice. Una scelta editoriale precisa, vite importanti e ‘ispirazionali’ restituite dalla scrittura di autrici di talento. Donne tirate fuori dalla pattumiera della storia, direbbe Fleming, ma nel rispetto profondo della verità di ognuna.
In apertura foto di Joanna Kosinska/Unsplash