Mario Perrotta ci presenta la Medea dei gommoni

In Teatro

Mario Perrotta, tra i giovani attori più interessanti della scena off contemporanea, organizza dal 30 settembre al 2 ottobre un ambizioso progetto nei luoghi dove sbarcano le barche dei migranti, sulle coste pugliesi del suo Salento…

Chi ha detto che il teatro non si interessa della vita, non partecipa ai nostri dolori? Vedere per credere il grande progetto che Mario Perrotta, uno dei quasi giovani più interessanti della nostra scena off (ma quest’anno arriverà finalmente al Piccolo Teatro con uno spettacolo sul Milite Ignoto dal 15 al 20 novembre) ha organizzato sui luoghi dove sbarcano le barche dei migranti, sulle coste pugliesi del suo Salento dove attraccano dolori e speranze, dove le acque mediterranee sotterrano migliaia di morti innocenti. E può darsi che la nuova Medea dei gommoni, partita tre volte dalle coste dell’Albania e schiantatasi contro le nostre con una neonata di tre mesi in braccio, si chiami Lireta Katiaj, donna che Perrotta ha conosciuto leggendone il Diario, tra i 7000 anonimi depositati all’Archivio di Pieve s. Stefano (Arezzo) e che verrà pubblicato da Terre di Mezzo.

«Ho estrapolato alcuni brani ed è stato inevitabile un corto circuito con la cronaca quotidiana», dice. Emozionato da quelle pagine,  Perrotta ha concepito l’evento “Versoterra” dal centro storico di Lecce alla costa adriatica-ionica, che si snoderà in tre incredibili giorni, dal 30 settembre al 2 ottobre. Un progetto che coinvolge 50 attori e musicisti, dando voce ai migranti e portando il pubblico (cui sempre meno si addice il termine) nei luoghi dove le tragedie dell’immigrazione avvengono, dall’alba (vera) alla notte, con effetti di luci e colori impossibili da imitare in cabina di regìa. Ci spiega: «Si inizia al mattino con l’edizione live della mia trasmissione radio Emigranti Esprèss, storie del treno verso le “Americhe”, Lecce-Stoccarda. Di sera, sul palco sull’acqua, Paola Roscioli reciterà il diario della 39enne Lireta, fuggitiva a 21 anni, ed è questa l’unica parte dell’evento che andrà in giro nei teatri in stagione. Una storia archetipa iniziata nel 98, ripetuta tre volte fino al 2001, che contiene la forza e il dolore del  migrare. È un insegnamento etico, abbiamo tutti da imparare: non basta il pentimento o vedere i tiggì, bisogna saldare i conti andando sul posto, vivendo in quello spazio e tempo».

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L’indomani, 1 ottobre, le cose si complicano. Sveglia alle 4.30 per raggiungere il sole alle 5.45 nella Cala di San Foca (Melendugno), di fronte all’Albania, dove i migranti racconteranno le loro storie. «Al di là delle ragioni storiche, si aprono i racconti personali, nel piazzale esterno dell’ex Centro di Permanenza temporanea Regina Pacis, ora fatiscente, con finestre sfondate che sembrano bocche finalmente parlanti, luogo che fu sede di un mastodontico scandalo,  il nostro Guantanamo, coinvolgendo tutti quelli che vi lavoravano, dal prete ora condannato e trasferito, al personale che seviziava, umiliava e derubava gli infelici ospiti che gridavano inutilmente i soprusi appesi alle finestre ai ministri in visita». Una drammaturgia post brechtiana, dice l’autore regista: e nell’ex centro sono in mostra foto e ritagli per aggiornare la memoria. «E mentre speriamo si alzi un sole meraviglioso, parliamo del lato oscuro, indi ci trasferiamo al tramonto sullo Jonio, a Porto Selvaggio (Nardò). Qui i migranti che ce l’hanno fatta, parleranno del loro limbo, l’attesa burocratica, né partire né tornare, appesi al vuoto. Racconteranno possibilità e ingiustizie, questioni di mercato legate a droga e prostituzione, mentre dal mare usciranno come vivi i morti sepolti. Il finale a una bimba del Mali che chiude il percorso con un unico atto di speranza».

Attori, musici, migranti, vite intrecciate di uomini e attori, rigorosamente senza trucco o trucchi. Sarà un tragitto faticoso per tutti, nulla è per finta: «Il valore aggiunto è alto, si squarcia il velo della finzione, le cose accadono dove sono accadute, lo spirito del luogo è carico di energia. L’acqua del mare salentino ha visto decine di migliaia di vite arrivare con speranze tradite, fin dalla prima nave del ‘91 con 20.000 uomini: sott’acqua corpi che asfaltano gli scogli». Un corpo a corpo post pirandelliano tra realtà e finzione. «L’unicità della rappresentazione esalta per noi il valore, l’emozione, l’essenza di un effimero che deve lasciar traccia nei luoghi. Io devo pensare al salto nell’arte, a usare scenografia naturale, ma mi chiedo: il pubblico ascolterà le parole o il sibilo del vento?»

 

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