Furono moderati, raffinati, contestatori. Vinsero tutto, influenzarono l’Islam per secoli. Poi divennero minoranza, eresia, setta segreta: i Nizariti, assassinati attraverso la loro memoria. Marsshall G.S. Hodgson ricostruisce la loro storia, tra etimi, leggende, maldicenze, racconti di giardini proibiti. Passando (perfino) per Marco Polo.
Una congrega misteriosa, cancellata dalla storia. Un repertorio di nefandezze da far rabbrividire. Una crudeltà talmente esibita da trasformare un soprannome in una parola comune, sinonimo di morte.
Di questo parla L’ordine degli assassini di Marsshall G.S. Hodgson, edito da Adelphi: un saggio che si inoltra tra leggende traslate e una tremenda damnatio memoriae, con il merito di riportare alla luce un pezzo di storia islamica dimenticata.
È già l’etimologia del termine assassino, legata fin dall’origine a una qualche setta sanguinaria, quel che colpisce il nostro immaginario prima ancora della sua stessa realtà storica.
Tradizionalmente il nome è associato ai Nizariti, una setta dissidente musulmana: gli Hašīšiyyūn (assassini, appunto), noti come una cerchia di fanatici sicari, responsabili di un numero enorme di delitti efferati e di azioni suicide, che compivano nella convinzione di guadagnarsi così il Paradiso; un pedigree impressionante, sufficiente per costituire una ragione bastevole per far conquistare a questo termine una fama enorme anche in Occidente.
Tale nome è stato fatto risalire a ogni sorta di origine, a ciascuna delle quali corrisponde una diversa storia della setta dei Nizariti.
L’interpretazione vincente, fantastica e seducente, risale a De Sacy, che circa duecento anni fa rivelò che la forma araba del termine assassino era hasisiyya, vale a dire consumatore di hashish, la canapa inebriante. Egli dimostrò che non solo gli autori cristiani ed ebrei, ma anche alcuni musulmani chiamavano così i Nizariti.
La leggenda racconta che l’hashish fosse usato dai guerrieri per infondere quello stato di esaltazione necessario per compiere le loro temerarie sortite negli accampamenti nemici e gli efferati omicidi. Come si conciliasse questa versione con gli effetti rilassanti dell’hashish, noti già ai tempi, non rientra nelle spiegazioni di De Sacy.
Sono le ragioni della storia, invece, a spiegare per quale motivo ai Nizariti venne addossata una fama tanto cattiva quanto duratura.
“Nati nel 1094 da uno scisma interno all’Ismailismo, a sua volta un ramo dello sciismo, i Nizariti conquistarono in breve tempo una serie di fortezze tra la Siria, l’Iraq e l’Iran e vi si asserragliarono. Da lì lanciarono una sfida all’intero mondo islamico, che li considerava temibili eretici, e per quasi due secoli seppero tenergli testa sia militarmente sia culturalmente, elaborando una versione dell’assetto sociale, politico e religioso dell’Islam radicalmente alternativa a quella sunnita che si andava allora affermando. E il coronamento di questa visione fu, nel 1164, la proclamazione della Qiyāma o «Resurrezione», cioè l’abrogazione dei vincoli della šarī’a, la legge religiosa, e l’istituzione del Paradiso in terra con la rinascita dei fedeli nizariti a una vita spirituale immortale”.
La persistenza dell’influenza nizarita pervade anche la letteratura.
In un romanzo storico medioevale si racconta di un certo Isma’il, il quale ai tempi del sovrano fatimide pre-nizarita Zahir, arrivò a Tripoli carco di gioielli rubati e circondato da suoi fida’i. Si recò a Masyaf e fece costruire uno splendido giardino con al centro un padiglione decorato di ogni magnificenza. Lo popolò di seducenti schiave e schiavi, di gazzelle, uccelli rari, piante meravigliose e profumate, insomma ogni sorta di delizie. Poi unì con un tunnel sotterraneo il giardino delle meraviglie al suo palazzo in città dove invitava molti ospiti. Qui, li intratteneva sulla magnificenza di Alì, l’unico vero visir, l’unico vero discendente di Mohamed; quindi drogava i suoi ospiti e li trasportava segretamente nel giardino delle meraviglie. Questi, dopo essersi dilettati in ogni sorta di piaceri, venivano drogati nuovamente e riportati a palazzo. Quando si riprendevano Isma’il diceva loro che non si era trattato di un sogno, ma che quello era un miracolo di Alì; e che se avessero mantenuto il segreto e servito Isma’il nella sua Guerra Santa, avrebbero ricevuto quel posto in Paradiso per l’eternità; se invece avessero rivelato il segreto, avrebbero sofferto orribili pene.
Il romanzo è arabo, ma deve esserne circolata una versione anche in Iran, perché è lì che Marco Polo avrebbe sentito una storia simile in cui il Vecchio della Montagna portava dei giovani addormentati in un giardino fantastico perché credessero di esser stati in Paradiso, in modo che così fossero disposti a soddisfare qualsiasi suo ordine pur di tornarci.
Intorno alla Setta degli Assassini fiorirono ogni sorta di leggende, tutte comunque hanno per conclusione omicidi efferati, fanatismo e trucide vendette.
La violenta ostilità suscitata dai Nizariti si confuse a lungo andare con la generale intolleranza dimostrata dall’Islam verso tutti i gruppi dissidenti, dopo che la sintesi ortodossa ebbe il sopravvento.
Marshall G.S. Hodgson in questo ponderoso saggio storico si propone, al di là delle leggende, di ricostruire l’identità degli Ismailiti, che intorno al mille dopo Cristo formavano uno dei grandi rami della religione islamica. Avevano governato l’Egitto per due secoli e contavano fedeli in tutta l’Africa sub-sahariana.
Il loro retaggio, quanto a speculazione filosofica, devozione religiosa e raffinata tradizione sociale, era uno dei più significativi, ma è stato cancellato, o piuttosto ricoperto da infamia dai nemici ortodossi.
Come sempre la storia è scritta dai vincitori.