Il celebre subacqueo francese, che per primo superò i 100 metri di profondità, ritorna in una biografa girata dal documentarista greco Lefteris Charitos: è ricca di splendidi filmati d’epoca, interviste a familiari e colleghi, mentre un attore di primo piano (Jean-Marc Barr) presta la sua voce fuori campo
Il celebre apneista francese Jacques Mayol, cui è dedicato L’ultimo delfino, girato due anni fa dal documentarista greco Lefteris Charitos, non è stato certo il primo a paragonarsi a un animale, e non sarà l’ultimo. La sua storia è un viaggio nelle profondità tanto dell’uomo quanto dell’oceano e il regista mostra l’amore e il legame tra il sub e l’acqua. Molti personaggi del film si riferiscono a lui come al “delfino francese” e poche persone condividono una simile affinità con un’animale: Mayol vive davvero sott’acqua e, come i delfini, emerge per lo più per riempire d’aria i suoi polmoni e poi tornare sotto la superficie. Questo toccante omaggio filmato rivela quanto possa essere turbolenta la vita di un essere umano che è più a suo agio nelle profondità che sulla terraferma.
L’uomo delfino traccia la storia della sua vita, dai primi tuffi fino all’ultima immersione al largo dell’Isola d’Elba. Mayol prospera nell’acqua, impara a sviluppare la sua capacità polmonare e a padroneggiare la respirazione per rimanere sotto il più a lungo possibile. Il documentario segue in particolare il suo viaggio verso un nuovo record, che lo porta a immergersi più in profondità rispetto a chiunque altro prima, raggiungendo i 105 metri.
Il suo ritratto ricostruito oggi s’intreccia poi con un’impressionante gamma di filmati d’archivio girati negli abissi dell’oceano. E l’opera, visivamente sbalorditiva, abbina i vecchi spezzoni a nuove riprese subacquee, che grazie alla chiarezza e ai dettagli delle telecamere ad alta definizione, forniscono una visione coinvolgente delle acque che hanno dato a Mayol una tale gioia di vivere. L’azzurro limpido dell’oceano è sereno e rilassante, ma anche freddo e pericoloso, come il film mostra in ogni immersione, e ciò rivela la complessità dell’isolamento di Mayol.
Ci sono inoltre interviste con familiari, amici e colleghi. Sua figlia Dottie offre un racconto emotivo di un uomo lontano, che ha abbandonato la famiglia a trent’anni perché sentiva un’attrazione più forte per i pesci dell’oceano che per i membri della sua casa. I racconti dell’allontanamento di Mayol si intrecciano abilmente con le storie dei suoi successi e mostra come il subacqueo alla fine abbia avuto poche persone con cui condividere le vittorie. Dottie ricorda inoltre un episodio particolarmente tragico, quando la sua compagna Gerda Covell venne assassinata da un uomo fuori di sè forse per droghe, che ferisce anche Mayol con un coltello, mentre si trovano in un supermercato in Florida. L’avvenimento lo getta in una profonda depressione e diventa presto chiaro che più Charitos ci immerge nel mondo di Mayol, più l’abisso dell’oceano appare come la sua via di fuga.
Il regista fa rivivere la biografia nel suo film grazie al diario e alle lettere dell’uomo delfino, e proprio l’attore Jean-Marc Barr, che l’aveva interpretato nel film del 1988 di Luc Besson Le Grand Bleu, riprendere il suo ruolo di sub leggendo queste riflessioni come voce fuori campo. Barr “abita” così il personaggio con grande cuore e la narrazione profonda, riflessiva consente al pubblico d’esplorare le profondità della mente di Mayol, il suo amore per l’oceano. L’uomo delfino rivela un uomo che non può, o non può più, simbolicamente parlando, emergere in superficie. Un Icaro capovolto che avrebbe voluto avere le pinne.
L’uomo delfino, documentario di Lefteris Charitos su Jacques Mayol con Jean-Marc Barr