Herzog incontra Gorbaciov, in sala dal 19 al 22 gennaio, documenta l’incontro tra il regista tedesco e l’anziano e ultimo leader sovietico. Tra qualche dimenticanza e un po’ di agiografia, il racconto del protagonista di quella stagione del Novecento che ha cambiato il corso della storia, dalla firma degli accordi sul disarmo nucleare alla fine della Guerra fredda e al crollo dell’Urss
Sta diventando un genere, quello dei grandi registi che raccontano personaggi della nostra contemporaneità con sguardo innamorato e mantenendo loro il centro della scena, non solo dietro ma soprattutto davanti alla cinepresa, esibendo compiaciuti la loro complicità con l’interlocutore.
Così dopo gli arditi omaggi di Oliver Stone a Fidel Castro e a Putin, ci rituffiamo in pieno Novecento con Meeting Gorbaciov, in italiano Herzog incontra Gorbaciov, visibile nelle sale dal 19 al 22 gennaio, risultato di sei mesi di appostamenti e tre incontri tra i due. Se l’operazione di Stone era più controversa e insieme creativa, ossia riabilitare il “nemico” dell’Impero americano con una contro-narrazione sul cattivo di turno, Castro o Putin – con tutti i limiti di prendere per buono il punto di vista dell’intervistato – Herzog sul piano delle ambizioni si ferma un attimo prima. Per dirla alla Celentano, se Stone è rock, Herzog qui è decisamente lento.
In parte lo condiziona lo sguardo pietoso, che talvolta risulta feroce, sull’anziano leader 88enne ormai quasi irriconoscibile, rallentato nei movimenti, totalmente svanita la vivacità di quello sguardo bello, diretto e franco che contribuì anche fisicamente a sparigliare le liturgie sovietiche e aprì un varco nelle diplomazie e nell’opinione pubblica occidentale. Ciò non toglie che dietro l’occhio appannato il vecchio leone mandi lampi di luce e regali i pochi momenti rock del documentario, come quando confessa sogghignando che lui con la Glasnost e la Perestrojka non voleva solo più democrazia: «Io volevo più socialismo».
“Glasnost” e “Perestroika” (per chi non lo sapesse “trasparenza” e “rinnovamento”), parole oggi totalmente dimenticate che il documentario ha il merito di riportare alla memoria, assieme ad un’epoca che ora appare sideralmente lontana, quella delle grandi speranze legate al negoziato Usa-Urss sul disarmo nucleare, alla fine della Guerra fredda, alla caduta del muro di Berlino e del blocco sovietico. Herzog si concentra molto sul racconto di questa stagione piena di promesse, in una successione di filmati d’epoca e interviste ai protagonisti di allora: i due membri dello staff di Regan James Baker e George P. Schultz, l’ex presidente ungherese Miklos Nemeth, Horst Teltschik, consulente alla sicurezza nazionale per Helmut Kohl. Il documentario in effetti è pervaso di gratitudine per Gorbaciov, Herzog lo dice esplicitamente, per aver permesso la riunificazione della Germania senza spargimenti di sangue. «Ritirò 500mila truppe sovietiche dalle loro basi in Europa Centrale. Aprì la strada per un Europa completamente nuova – dice Teltschik – Per me allora era un sogno avere pace e sicurezza da Vancouver a Vladivostok. Non era mai successo nulla di simile nella storia».
E fa venire il magone il racconto di Nemeth, di come decise nell’agosto del 1989, una volta ricevuta da Gorbaciov l’assicurazione che non ci sarebbe stato un nuovo ’56, di tagliare il filo spinato tra Ungheria e l’Austria davanti alle tv, atto simbolico della fine dei due blocchi. Sì, proprio quella stessa Ungheria che oggi ha costruito una barriera di filo spinato alta 3 metri e lunga 175 chilometri sul confine con la Serbia, per respingere i migranti. Trent’anni dopo, usciti definitivamente insieme a Francis Fukuyama dall’illusione della fine della storia e piombati nel millennio delle guerre asimmetriche, del riarmo nucleare e se mai della fine di tutto, pianeta compreso, non c’è dubbio che l’operazione nostalgia orchestrata da Herzog e Gorbaciov risulti efficace e dolorosa. Il racconto poi procede con il declino della sua leadership, il colpo di Stato del 1991, l’ascesa dell’odiato Eltsin, le sue dimissioni da presidente dell’Urss per descrivere poi come alla fine il sistema sovietico collassò e le cose andarono in modo un po’ diverso da come lui aveva sperato.
Mentre alla fine risulta chiaro il perché l’Occidente l’abbia adorato, compreso ossi duri come la Tatcher, Reagan e Kohl, per la sua opera di acceleratore della storia, resta in ombra invece il perché Gorbaciov non sia stato mai veramente amato dai suoi connazionali, ossia per ragioni opposte: come traditore della patria consegnata senza sparare un colpo all’Occidente o vecchio arnese comunista ancora di ostacolo alla nuova Russia transitata direttamente dal socialismo al capitalismo di rapina. Herzog non concede spazio alle voci critiche, se non quella di Lech Walesa che, acidissimo, spiega come Gorbaciov fosse comunque stato sconfitto della storia. E nulla si dice sulla posizione ambivalente di Gorbaciov nei confronti dello zar Putin. Più che l’ultima parte della storia, vale la prima, quella smaccatamente e teneramente agiografica, che descrive l’ascesa di un contadino dalla periferia della Russia ai vertici dello Stato sovietico, con spezzoni di filmati ufficiali da realismo socialista che però mostrano ancora una volta plasticamente l’eccentricità di Gorbaciov, una sorta di Zelig dal volto umano e dall’occhio vispo in mezzo alle cariatidi della moribonda nomenklatura brezneviana.
Tra le chicche anche un frammento di un telegiornale in cui si vedono lui con l’amata Raissa accolti in una Milano festante accanto all’allora sindaco Paolo Pillitteri. Per la serie un mondo scomparso, ma di cui, dati i tempi che corrono, si rischia di avere qualche rimpianto. La morale della storia su cui sono d’accordo tutti, da Herzog a Gorbaciov a Baker a Nemeth, è che politici di quella pasta non se ne fabbricano più e gente capace di pensare in grande, ad una cosa difficile e impopolare in patria ma anche necessaria e visionaria come il disarmo nucleare e una grande Europa senza cortina, non se ne vede traccia. Con molti errori, magari, ma come Gorbaciov vorrebbe fosse scritto sulla sua tomba: «Almeno ci abbiamo provato».
HERZOG INCONTRA GORBACIOV di Werner Herzog e André Singer sarà distribuito in Italia dal 19 al 22 gennaio da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection all’interno delle I Wonder Stories