Due ottimi protagonisti per “Melbourne” di Nima Javidi, sospeso tra noir e dramma etico. È il giovane cinema iraniano, molto metropolitano e west oriented
Non so se nel girare Melbourne il regista esordiente iraniano Nima Javidi, molto apprezzato all’ultima Mostra di Venezia, si sia davvero ispirato a Hitchcock o Polanski, come hanno scritto in molti; o, più plausibilmente, come altri ipotizzano, all’illustre concittadino Ashgar Farhadi, Oscar 2012 grazie a Una separazione, cui ha rubato l’ottimo protagonista Payman Maadi.
Il film suggerisce comunque una solidità tematica e narrativa che guida il sottile, cangiante equilibrio delle atmosfere. L’iniziale leggerezza che sostiene le aspettative della partenza (da una casa medio borghese di Teheran all’Australia del titolo) dell’ingegnere Amir e di sua moglie Sara (l’ottima Negar Javaherian) destinati a una permanenza di studio di almeno tre anni a Melbuorne, dove li attendono amici dall’aspetto assai più occidentale di loro (li vediamo via Skype).
La crescente inquietudine che domina la parte centrale del film, concitato e claustrofobico al massimo nel descrivere la consapevolezza dei due che la bamina lasciata per qualche ora da una vicina nel loro appartamento non sta affatto dormendo, anzi non dà alcun segno di vita; il drammatico finale in cui, su un taxi che li porterà all’aeroporto verso il viaggio diventato minacciosamente pieno di sensi di colpa, rimuginano dilemmi etici ormai non più rimontabili.
Il giovane cinema iraniano, molto metropolitano e west oriented, si allontana dai panorami arcaici di Kiarostami, e dalle aspre battaglie, civili (di Babak Payani) o di genere (di Samira Makhmalbaf) per raccontare, sempre con toni polemici verso il regime, storie di gruppi punk clandestini o partite di calcio vietate alle donne. E soprattutto entra nel cinema di genere, il noir prima degli altri. Non abbracciando però, almeno nel caso di Melbourne, un culto assoluto della struttura, del genere e delle sue forme, destinato a oscurare gli spunti tematici.
Che anzi si annidano efficacemente nei particolari, affioranti a ondate, e nella recitazione, concitata più che gridata, dei protagonisti, a suggerire crescenti e irrisolti conflitti interiori.
Melbourne, di Nima Javidi, con Payman Maadi, Negar Javaherian