Il 92enne attore torna a parlare della grande bellezza della vita dell’imperatore romano con la riduzione delle “Memorie di Adriano” della Yourcernar: migliaia di recite e di spettatori. Vero cult
Non cigno in declino ma leone risvegliato, Giorgio Albertazzi inaugura la stagione del Teatro Franco Parenti con le nostalgiche confessioni dell’imperatore Adriano, così come le racconta Marguerite Yourcenar (fino al 2 luglio).
La snella riduzione teatrale di Jean Launay mantiene solo lo scheletro del romanzo, e taglia tutto il superfluo di pagine spesso artificiose e artificiali, specie nei retorici passaggi di dottrina stoica, quasi un riassunto dell’Abbagnano del liceo. L’enfasi di Albertazzi è invece autentica e credibilmente complessa: viene quasi il sospetto che questa passionale biografia del quattordicesimo Cesare si presti più al palcoscenico che alla prosa.
Culmine dello spettacolo è la toccante sezione d’amore tra Adriano e l’adolescente Antinoo, suicida perché incapace di invecchiare, «un essere che aveva orrore della decadenza fisica» si legge nel testo. In quest’affetto risiede una delle ragioni principali del successo del romanzo e dello spettacolo, ma «non perché debba essere inteso per forza in senso omoerotico – spiega l’attore -, piuttosto per il valore filosofico della bellezza che emerge dalla storia: è la bellezza come Weltanschauung a commuovere il pubblico».
Infine è la vecchiaia, sia esibita che raccontata, protagonista del monologo: una vecchiaia finalmente preziosa, scopo di una vita trascorsa nell’esercizio di sé, per diventare quel che da giovani non si poteva ancora comprendere. «Questa giovinezza tanto vantata il più delle volte mi appare come un’epoca ancora rozza della nostra esistenza, un’età opaca e informe, malsicura e fuggevole» dice Adriano, e Albertazzi chiosa citando Picasso: «ci vogliono molti anni per diventare giovani», sempre a indicare che solo alla fine si realizza il principio, quel diventa ciò che sei di nicciana fattura.
La regia di Maurizio Scaparro incornicia l’imperiale flusso di coscienza con un’elegante coreografia di controfigure femminili che cantano in varie lingue, danzano e intervengono accanto all’attore. Elegante il timbro di Evelina Meghnagi. Armando Sciommeri è il legionario alle percussioni.