La grande attrice si mette a nudo sulla scena, spettatrice di sé stessa: la aiuta Andrée Ruth Shammah e uno spettacolo che è un amarcord di grossi nomi. E tanto talento
Una, nessuna, centomila Adriana. Il riferimento pirandelliano, per quanto inflazionato, è quasi d’obbligo. Perché Adriana Asti non è soltanto un’interprete. È il suo paradigma: la sagoma, l’impeto, la tragedia, la rinascita.
La maschera, e la trasformazione. Sono al centro, temi tra i molteplici altri, di Memorie di Adriana, yourcenariano titolo evocativo, (auto)ironico, spiazzante nella sua onestissima dichiarazione di uno stato di realtà. Ovvero: Adriana Asti, patrimonio nazionale, si mette a nudo. Ma non come potrebbero fare altri: il suo personale amarcord è gioioso e simpatico. Proprio come sembra essere lei.
Andrée Ruth Shammah, oltre che regista, qui è anche custode, ammaestratrice: di ricordi, di un corpo e di una forza vibrante che, nel caso di madame Asti, si è “sacrificata” (in senso positivo) a quello che banalmente possiamo chiamare «sacro fuoco dell’arte». E che lei fende a colpi di citazionismo super-pop.
In debutto al Festival dei due Mondi di Spoleto, lo spettacolo consolida la forza della sua geniale interprete. Adriana Asti è una gran dama del teatro: ha lavorato con Visconti – che l’ha diretta nel Crogiuolo di Miller -, e con Strehler, che in un’intervista al Corriere definisce “geniale” e che le fa dire solo una battuta nell’Elisabetta I di Bruckner (ma è soltanto il 1952 e i successi devono ancora venire). E con molti altri – leggi alla voce: Robert Wilson (che l’ha beckettizzata, in Giorni Felici) ma anche il Luca Ronconi di Danza di morte, che l’ha piazzata sulla scena insieme al marito e sodale Giorgio Ferrara.
Con quella faccia un po’ così, Adriana o la ami o la ami: e ti viene da chiamarla così, con il suo nome, come fosse quella compagna di classe che tutti vogliono vicino perché sa far ridere. Anche quando è un coacervo di drammi, e di tristezze.
È un’attrice che ama e che ha amato i registi con cui ha collaborato: basti pensare alla grande amicizia con Pasolini, di cui è stata musa geometrica, prostituta in Accattone e madre nella rievocazione di Abel Ferrara, o alla milanese Gina di Prima della rivoluzione di Bertolucci, in odore d’incesto. Senza trascurare il sodalizio con Mauro Bolognini, che l’ha voluta su diversi set – incluso quello del meraviglioso L’eredità Ferramonti.
Adriana è questi ruoli, e molto altro: chi se la dimentica indugia davanti alla macchina da presa di Giuseppe Patroni Griffi in quel capolavoro mai troppo ricordato che è Metti, una sera a cena? Lì non figura tra i cinque protagonisti, ingenuamente la potresti considerare marginale, ma lei non lo è, neanche per un istante del limitato screen time di cui gode. Ma a citare questi ruoli si farebbe solo tanto male, perché Adriana è universale e merita lodi specifiche per ruoli precisi. Forse tutti.
E oggi, ancora per due giorni, resta al Parenti a raccontare un po’ di sé, attrice e spettatrice di sé stessa. Racconta. Delle sue paure di attrice, di una passione che nasce per caso, che ti permette di astrarti, di restare là dove la dimensione terrena è temporaneamente sospesa. Viaggiano, gli aneddoti di Adriana. E viaggia il suo scanzonato divertimento.
Memorie di Adriana, al Teatro Franco Parenti fino al 24 settembre
Video di proprietà di Teatro Franco Parenti e Krapp’s Last Post