Storie di (altre) città: a Torino una mostra cda vedere. Michael Yamashita ripercorre le vie di Marco Polo, fotografandole come se fossimo ancora nel XIII secolo.
L’ho scritto anche a un’amica mentre visitavo la mostra. Non trovo parole per descrivere quello che ho visto. Il che non credo sia un bene, perché si suppone che in questo momento io riesca a restituire la bellezza di un’immagine facendo affidamento soltanto sulla forza delle parole. Come posso convincervi a prendere la macchina o un treno, direzione Torino, per visitare la mostra su Marco Polo? Senza tanti giri di parole, dicendovi che è straordinaria.
Non uso questo aggettivo a caso. Straordinaria è l’intera vita di Marco Polo. Sfido chiunque a trovare una vicenda umana altrettanto affascinante e degna di essere raccontata nel corso dei secoli. Da 700 anni il veneziano ispira generazioni di viaggiatori ed esploratori. L’aneddotica vuole che lo stesso Cristoforo Colombo, in partenza per le Indie, avesse imbarcato sulle sue caravelle una copia del Milione.
In un’epoca in cui l’ignoto abitava subito fuori la cerchia delle mura cittadine, il giovane Marco, discendente di una famiglia mercantile veneziana, lasciò la città natale per risalire la Via della Seta fino al tanto favoleggiato Catai. Un viaggio che poteva costare anni della propria vita, se non la vita stessa. Al suo ritorno a Venezia nella barba di Marco si vedevano i primi ciuffi bianchi. Negli oltre 20 anni trascorsi lontano da casa Marco Polo ha attraversato gli attuali Iraq, Iran e Afghanistan per arrivare nella Cina governata dai discendenti dell’orda d’oro di Gengis Khan. Proprio al servizio del Kublai Khan il viaggiatore veneziano visiterà il Catai in lungo e in largo per scrivere i resoconti per la cancelleria imperiale, che costituiranno il nucleo originario del suo Milione.
“Marco fu un pioniere: dell’esplorazione senza dubbio, ma soprattutto della modernità delle prospettive, della curiosità costruttiva, del coraggio unito a una salda umanità e a un’intelligenza acuta. Questo lo rende assai simile a noi ed è perciò che abbiamo sentito la necessità di seguirne le tracce: per rendere giustizia alla limpida visione di un grand’uomo che, a dispetto dei secoli, ha saputo condurci come un amico prezioso lungo le vie del suo e del nostro mondo”.
Lungo quelle stesse vie si è mosso l’itinerario parallelo di Michael Yamashita, fotografo statunitense di origine giapponese che collabora con il National Geographic da oltre trent’anni. Come lui stesso ha ammesso in più occasioni il viaggio intrapreso nel 1999 alla scoperta dei luoghi descritti nel Milione è stato un modo per guarire dalla “febbre da Marco Polo” che si era impossessata di lui.
Le 76 immagini in grande formato ospitate nelle sale del Museo di Arte Orientale di Torino sono il risultato di quattro anni trascorsi viaggiando lungo la Via della Seta alla ricerca dei luoghi immortalati da Marco Polo nelle sue cronache di viaggio. Yamashita si è affidato a “quattro macchine fotografiche, una dozzina di obiettivi e a un migliaio di rullini”. La sfida è trovare i luoghi descritti nel Milione e riuscire ancora una volta a catturarne la particolarità che poteva colpire il viaggiatore del tredicesimo secolo. Un intento molto più ostico del previsto – come ammette lo stesso fotografo, ricordando un episodio legato alle sabbie che cantano del deserto del Taklamakan – :
“Oggi è arduo sentire un rumore che non sia quello della folla, dato che le sabbie che cantano sono solo una delle principali attrazioni turistiche della regione. Il problema era come scattare una fotografia che sapesse di XIII secolo senza inquadrare le folle del XXI secolo. Mi spostai dietro una duna gigantesca. Una fila di cammelli che stava per attraversare la scena che avevo scelto sembrava l’occasione perfetta, ma quando gli animali si avvicinarono mi resi conto che ciascuno aveva un numero di identificazione … la luce però, era perfetta. Fotografai controluce quella processione nel deserto, una silhouette stagliata nitidamente contro la montagna di sabbia”.
Osservando le immagini di Yamashita si ripercorre la storia di un incontro. L’incontro di due strade separate da secoli di storia, dai nuovi confini e dai popoli che li attraversano tutti i giorni, superando distanze che in apparenza sembrano molto più ridotte di un tempo. Quello che il visitatore si trova tra le mani è un biglietto per evadere dalla propria quotidianità per un manciata di minuti. Una grande occasione per assaporare le sensazioni che può regalare un viaggio che metta l’occhio occidentale di fronte al fascino sempre vivo dell’Oriente. Le fotografie scorrono rapidamente sotto lo sguardo dei visitatori e troppo presto ci si ricorda che nel biglietto è compreso, purtroppo, anche il viaggio di ritorno.
Marco Polo, Museo di Arte Orientale (MAO), Torino, fino al 12 aprile 2015
Foto: Michael Yamashita, Monks of the Yellow Hat Sect of Tibetan Buddhism Gather for Prayers. © Michael Yamashita