Tre donne si scontrano, ciascuna a modo proprio, con l’accettazione di sé e dell’altro attraverso la prova del proprio benessere. Mieko Kawakami racconta una storia di emancipazione in un mondo di opprimenti regole non scritte ma condizionanti, nel quale ci si scontra con la povertà, la solitudine, la difficoltà di essere comprese.
Vi è mai capitato di chiedervi con quale criterio, in definitiva, scegliete i libri che leggete? A pensarci un attimo, è evidente che non esiste un modo unico attraverso il quale i libri ci raggiungono. Alcuni ci sono necessari (penso ai grandi nomi della letteratura, ai cosiddetti classici). Altri libri si leggono perché sono citati da autori amati, all’interno delle loro opere o in qualche intervista. Altri ancora arrivano su consiglio di lettrici o lettori entusiasti, o per curiosità da recensione.
Capita perfino di finire su un titolo per mancanza di scelta – io stessa ho scelto di leggere alcuni libri perché erano gli unici disponibili in quel momento nel posto in cui ero: penso al periodo che ho vissuto in Australia e alla biblioteca di Griffith, una cittadina sperduta del Nuovo Galles del Sud, che aveva una piccolissima sezione di libri in italiano.
Per altri titoli, invece, la scelta arriva curiosando tra gli scaffali delle librerie, leggendo quarte, bandelle, incipit o alcune pagine.
Ma talvolta, inutile negarlo, il richiamo è quello della fascetta, lo “strillo” sulla copertina. Come nel caso di Seni e Uova dell’autrice giapponese Mieko Kawakami pubblicato in Italia da edizioni e/o : come si fa a resistere se a scrivere “Mi ha lasciato senza fiato” è la firma di Haruki Murakami? Impossibile.
La prima parte, la più riuscita, è la versione estesa e riadattata di un racconto breve con cui l’autrice ha vinto nel 2008 il premio Akutagawa.
L’incipit propone una riflessione interessante: correla il grado di povertà al numero e al tipo di finestre presenti nelle case. Secondo la voce narrante, quella di Natsuko, aspirante scrittrice trentenne, le case dei poveri non sono mai dotate di finestre grandi e belle e non mostrano nulla di piacevole di là da esse, niente giardini magnifici ad esempio, solo l’unto e la sporcizia che si accumulano sui vetri.
La finestra divenuta simbolo di un divario economico e delle ingiustizie presenti nella società di oggi (come nel film Parasite di Bong Joon-ho) serve a introdurre le vicende di Makiko la quale, accompagnata dalla figlia adolescente Midoriko che da qualche mese si è chiusa nel mutismo e ha smesso di parlarle, decide di andare a Tokyo a far visita alla sorella Natsuko. Il reale motivo che spinge Makiko al viaggio è però un altro: mossa dal desiderio di rifarsi il seno ha preso appuntamento in una clinica (da qua i seni del titolo).
Tra i ricordi di un’infanzia povera vissuta dalle due sorelle, l’abbandono da parte del padre, la morte della madre e della nonna e le loro difficoltà economiche che continuano nel presente, il tema che lega la madre e la figlia è la non accettazione del proprio corpo e dei suoi cambiamenti, Makiko con il suo seno, Midoriko con la paura delle mestruazioni che stanno per arrivare.
La seconda parte che comincia sei anni dopo ruota invece attorno a un altro desiderio: quello di Natsuko, diventata ormai scrittrice, di avere un figlio. Non ha però un compagno e vive in maniera problematica i rapporti sessuali.
Può una donna single diventare madre? O si tratta di egoismo? Perché non può essere uguale a tutte le altre donne che, avendo la fortuna di aver trovato un compagno, riescono a realizzare il loro desiderio di maternità?
Per quattrocento pagine queste le domande di Natsuko che la spingono a prendere informazioni e a considerare la fecondazione assistita (da qui le uova del titolo).
Natsuko ascolta la voce di figli nati con tale metodo da donatori anonimi, il loro dolore nel non poter mai conoscere una parte di sé. Si chiede se sia giusto, partecipa a conferenze, dibattiti sull’argomento, si confronta con pareri positivi e negativi e fa la sua scelta.
L’impressione lasciata da questa seconda parte è che tutto venga raccontato con troppe parole, troppi ritorni sugli stessi dubbi, le stesse domande, le stesse scene che si ripetono quasi identiche, che finiscono ossessivamente per coprire tematiche interessanti e attuali.
Ma c’è un altro motivo per cui, conclusa la lettura delle sue seicento pagine, posso dire che Seni e Uova mi ha dato da pensare, ma non posso invece dire che mi sia piaciuto e il motivo è il mio desiderio: un desiderio costante, durante la lettura, di poter entrare nella narrazione per dialogare e rispondere alle donne che compongono il romanzo e che lo rendono un’opera interamente al femminile.
A Natsuko, Makiko, Midoriko si aggiungono infatti le storie della madre e della nonna e poi, nella seconda parte anche quelle di altre donne: Sengawa, Yusa, Yuriko. Donne single o che lo diventano, che lavorano, crescono da sole una figlia, come Yusa. Donne autonome che affrontano diverse difficoltà. Gli uomini che compaiono vengono presentati come fantasmi del passato (il padre della protagonista, il primo e unico fidanzato), figure evanescenti nel presente (come Aizawa che Natsuko conosce durante un incontro sulla fecondazione assistita) o, addirittura, come personaggi inquietanti e simil maniaci (il caso di Onda, un donatore di sperma).
Si ha quasi la sensazione che l’autrice abbia voluto delineare due universi, maschile e femminile, il primo carico di elementi negativi, il secondo di elementi positivi. Come se maschile e femminile rappresentassero una contrapposizione tra male e bene. Due universi che, almeno dal romanzo, sembra impossibile fare incontrare.
A parte gli scherzi, ho scelto di restare sola perché sono convinta che sia la soluzione migliore. Non ho nessun bisogno di vivere con un uomo, sto un miliardo di volte meglio da sola con mia figlia. Una donna non potrà mai andare d’accordo con un uomo, è impossibile, siamo troppo diversi. Credimi, è così. Qualcuno potrebbe tacciarmi di essere intransigente, di avere idee ristrette, di non conoscere il significato del vero amore e così via, e inoltre mi si potrebbe obiettare che non è giusto fare di tutta l’erba un fascio e che esistono milioni di uomini diversi. Ma io insisto nel ripetere che, al di là di tutto, pensare che un uomo e una donna possano andare d’accordo è pura utopia. Perché un uomo non potrà mai capire cosa è veramente importante per noi. Non credi?
Credo nel dialogo e nel confronto. So che la strada è ancora lunga, abbiamo da poco iniziato a percorrerla, ma sogno che riusciremo a costruire un unico universo paritario in cui maschile e femminile collaborino insieme. E spero che non sia un’utopia. Avrei risposto così a Yusa, se avessi potuto realizzare il mio desiderio di entrare, almeno per un attimo, nel libro.