Dallo studio di registrazione al palco: abbiamo messo due esperienze musicali a confronto per capire come cambia la musica in due contesti diversi
Silvia – Mi chiedo se esista qualcosa che Mika non sappia fare. Al Mediolanum Forum il 27 settembre scorso l’ho visto cantare, ballare, suonare, parlare tre lingue (in realtà ne parla almeno sei) e tradurre canzoni. Tutto ciò senza lasciarsi trascinare dalle scene studiate a tavolino: si vedeva che si stava divertendo e in alcuni momenti si è addirittura commosso tanto era il calore del pubblico. Penso che abbia anche inventato delle note che non esistono…
Chiara – Se c’è qualcuno che saprebbe farlo, è proprio Mika! Un mago della creatività, capace di creare melodie e concetti musicali complicatissimi e farli apparire facili, come se gli fosse bastato un tocco della bacchetta magica per farli apparire. No Place in Heaven, il suo ultimo disco, sfoggia proprio questo aspetto della musica pop, la semplicità talmente perfetta che sembra magica. Talk About You, il primo singolo è una canzone pop cristallina che rimane in testa per giorni, senza fastidiosi ritornelli-tormentone, grazie alla sua semplicità e all’universalità dell’esperienza che descrive – essere infatuati di qualcuno. Immagino che i singoli dell’ultimo album siano stati recepiti benissimo dal vivo!
S – Sì, durante l’esibizione live si sono integrati perfettamente con i vecchi successi che l’hanno reso celebre, come Grace Kelly, Relax, Take it easy o Happy ending. Pensa che durante Underwater c’erano talmente tante luci nel Forum che sembrava di vedere un cielo stellato. È stato il momento più intenso del concerto; luci spente, niente musica, faceva cantare solo il pubblico che lo seguiva passo a passo in ogni sua richiesta. Incredibile. E lo stesso Mika si è accorto che si trattava di una scena fuori dal comune, tanto che ha esclamato, nel suo bellissimo italiano un po’ british, «non ci sono mai state così tante stelle a Milano!».
C – Che spettacolo! L’affetto che il pubblico ha per lui è dato secondo me anche dalla sincerità con cui affronta temi importanti per la società di oggi: per esempio, in Good Guys, Mika ricorda gli eroi – con tanto di citazione di Oscar Wilde – che lo hanno aiutato a crescere personalmente e artisticamente, e si chiede perché ci siano così pochi modelli di riferimento per i giovani gay. Poi c’è Last Party, uno dei pezzi più belli del disco: un tributo a Freddie Mercury, che secondo la leggenda metropolitana diede una festa quando seppe di essere HIV positivo. Last Party cattura l’aspetto agrodolce del fato, o lo si accetta o lo si rinnega. Tra piano e archi frenetici, la canzone sceglie la celebrazione, perché “se siamo alla fine del mondo”, tanto vale festeggiare. C’era questo spirito anche nel live – immagino – Mika è un performer molto energico.
S – È proprio questo che mi è piaciuto del concerto. Dopo aver dimostrato di avere una voce unica, di essere in grado di gestire il palcoscenico in modo eccellente e di essere un artista a tutti gli effetti, Mika ha anche mostrato al pubblico di avere molto da dire. I suoi discorsi sulla fierezza di essere ciò che si è, senza curarsi del giudizio della gente, ma di ballare e cantare come se nessuno ti stesse guardando o giudicando sono sicuramente stati recepiti dal suo pubblico, composto perlopiù di giovanissimi.
C – Il suo messaggio è importante e originale allo stesso tempo, e il pubblico lo recepisce perfettamente. Specialmente perché, adesso, Mika è anche un po’ italiano!
S – Sì, il pubblico era anche commosso dal legame che Mika ha mostrato nei confronti di Milano, che continuava a chiamare “casa mia”, e dell’Italia. Pensa che ha chiamato sul palco Chiara Galiazzo, con cui ha duettato su Stardust.
C – E visto che l’album sta per uscire in versione deluxe, con tanto di duetto in inglese con Battiato, sembra che l’amore per l’Italia sia musicale oltre che personale. Un amore, direi, ampiamente ricambiato!
Mika, No Place in Heaven (versione deluxe – Universal)
Immagine di copertina: Mikainnstagram