MFF: vent’anni di cinema giovane e cult

In Cinema

Da oggi al 20 torna il Milano Film Festival con 11 chicche in gara, “Life” in anteprima, Fassbinder in un ritratto d’autore e un bellissimo Heimat austriaco

Per raccontare il Milano Film Festival n. 20, data importante accompagnata da un boom di pubblico costante (nel 2014 oltre 70mila spettatori), che dal 10 al 20 settembre porterà in città cinema di ogni genere in una decina di sedi, dal Teatro Strehler al Parco Sempione, dall’Auditorium San Fedele allo Spazio Oberdan (informazioni e programma su www.milano filmfestival.it), si può cominciare con due film che alla rassegna “sopravviveranno”. Perché grazie al Milano Film Network, di cui il MFF fa parte, saranno distribuiti in Italia: Le notti bianche del postino di Andrei Konchalovsky, delicato e fiabesco Leone d’Argento lo scorso anno alla Mostra di Venezia, e Fassbinder: To Love Without Demands di Christian Braad Thomsen, documentario sull’autore forse più originale del Nuovo Cinema Tedesco, opera di uno appassionato “collega” danese, studioso e regista di primo piano, al quale il Festival, di cui da quest’anno anche Cultweek è media partner, dedica un focus e una masterclass (Università Statale, venerdì 18, ore 15).

IL CONCORSO. Sono undici i film in gara, come sempre solo opere prime e seconde, in omaggio alla vocazione di scoperta del MFF, tutte in anteprima italiana: due vengono dall’Africa, tre dalle Americhe, 5 dall’Europa e uno dall’Asia. Si parte dal delicato Lamb dell’etiope Yared Zeleke (passato con molti consensi al Festival di Cannes), racconto di formazione rurale e familiare del giovane Ephraim e della sua inseparabile pecora, sullo sfondo dei meravigliosi altipiani dove l’uomo ha iniziato la sua marcia nel mondo, per andare a Une jeunesse allemande, presentato alla Berlinale e premiato a Cinéma du Réel, esordio nel lungometraggio del francese Jean-Gabriel Periot, regista da 15 anni di corti sperimentali e politici (il festival gli dedicherà un Focus), un reportage costruito col  montaggio di video e materiali d’epoca, sulle tendenze politiche radicali dei giovani nella Germania anni ’60 che portarono alla nascita della guerra armata della RAF. Da TransFatty Lives dello statunitense Patrick Sean O’Brien, colpito dieci anni fa dalla SLA, documento sulla sua malattia e anche riflessione laica sull’infermità, si passa all’acclamato (dal pubblico del newiorchese Tribeca Festival) Flocken della svedese Beata Gårdeler, che si apre e si chiude su una violenza sessuale (prima ipotizzata, poi agita), per raccontare il bullismo dei ragazzi e delle loro famiglie, pronte a far quadrato contro ogni diversità: ha vinto a Berlino la sezione Generation 14plus.

 

Temi più privati raccontano il drammatico, convulso James White del produttore indie americano Josh Mond, passato al Sundance, a Locarno e Toronto, storia del naufragio di un giovane metropolitano (Christopher Abbott, Girls), che resta orfano di padre e assiste disperato all’agonia dell’amatissima madre (Cynthia Nixon, Sex & The City) e il delicato ritratto di transgender messicano Carmin Tropical di Rigoberto Perezcano. Traumi collettivi si affacciano invece in Above and Below dello svizzero Nicolas Steiner, lui pure al centro di un Focus, ritratto di 5 persone che diversamente affrontano la sopravvivenza quotidiana, rifiutando il loro mondo, in un’America ben poco scintillante, e in Necktie Youthdebutto di Sibs Shongwe-La Mer, sulle (dis)avventure in bianconero di un gruppo di ragazzi ricchi e infelici nella periferia post-apartheid di Johannesburg, tra droghe e un incerto futuro. L’unica presenza italiana è Our City di Maria Tarantino, cineasta emigrata in Belgio, che svela una Bruxelles vivace, lontana dal suo consueto ritratto di capitale europea istituzionale, tra palazzi sfitti e periferie; a completare il panorama Prins di Sam de Jong, in cui un immigrato di seconda generazione deve difendersi dalla realtà olandese divenuta violenta e intollerante, e il thriller indiano Sunrise di Partho Sen-Gupta, dove un padre alla ricerca della figlia scomparsa scopre uno dei business più tragici dell’India d’oggi, lo sfruttamento sessuale dei minori.

RASSEGNE PARALLELE. Ricchissimi come sempre anche gli altri spazi, a cominciare da quello più politico, “Colpe di Stato”, che spazia dalla Guerra dei Sei Giorni in Israele ai reduci da Iraq e Afghanistan, dagli scandali bancari europei al conflitto russo-ucraino e alla guerra civile in Congo. Ragione “sociale” originaria del MFF, il concorso dei corti ha ricevuto quest’anno oltre duemila iscrizioni, arrivando a selezionare una cinquantina di opere. In tre sezioni è divisa la pattuglia degli Outsider, che nella parte cinema, oltre al Fassbinder già citato annovera un anomalo ritratto di Renée Falconetti (Nitrate Flames di Mirko Stopar) fiammeggiante Giovanna d’Arco di Dreyer che girò un solo film finendo annientata da quella straordinaria prova, e uno special su Orson Welles, Autopsie d’un Légende, realizzato per Arté da Elisabeth Kapnist; in quella riservata alla musica si potrà vedere il primo documentario dedicato a Enzo Jannacci, Lo stradone col bagliore del milanese Ranuccio Sodi, The Sound Before the Fury dedicato al grande Archie Shepp, padre del free jazz e una straordinaria messa in scena della bachiana Passione secondo Matteo eseguita da un’orchestra di homeless. La terza sezione offre un panorama della produzione giovane italiana.

EVENTI SPECIALI. I principali sono tre: l’anteprima italiana di Life di Anton Corbijn, con Robert Pattison e Dane De Haah, sulla nascita, grazie a una serie di scatti fotografici per il celebre magazine, del mito di James Dean; Metropolis di Fritz Lang che si potrà rivedere accompagnato dalla partitura originale eseguita dalla Filarmonica della Scala; The Birth of Sakè dell’americano Erik Shirai, che documenta la lavorazione tradizionale del liquore giapponese ancora praticata in alcune zone del paese. Poi c’è “Linea Gialla”, con lunghi e corti su Milano, per i 60 della Metropolitana; i corti di diploma della Scuola Civica di Cinema; uno spazio riservato all’animazione; e il focus sull’Austria, in cui spicca la personalità di Nikolaus Geyrhalter, di cui si può vedere il bellissimo documentario Over The Years, dieci anni di girato e interviste sulla crisi socio-economica in un paesino al confine con la Repubblica Ceca. Un Heimat dal vero, in cui impiegati e operai, madri e nonne si raccontano e invecchiano davanti alla cinepresa. L’impatto emotivo, ma anche razionale, è enorme.

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