Edizione in grande per il MFF, con otto film in concorso e una quarantina di corti selezionati in 30 paesi. Ma anche due rassegne dedicate alle nuove frontiere della tecnologia e dell’Art Cinema, gli ultimi film di Jean-Luc Godard, Gaspar Noe, Olivier Assayas e altri autori, un omaggio a Matteo Garrone e l’immigration Day con un documentario inedito della tv americana HBO
Spazia davvero a 360 gradi sull’intero arco costituzionale dell’immagine in movimento il Milano Film Festival n. 23 (dal 28 settembre al 7 ottobre), che torna alla grande dopo due edizioni un po’ di ripensamento. E stavolta, nelle diverse sedi della rassegna (il Piccolo Teatro Studio Melato e l’Anteo Palazzo del cinema, la Cineteca Spazio Oberdan e il BASE Milano, Palazzo Litta e la Cascina Cuccagna) troveranno un posto di primo piano nella rassegna, accanto al fortissimo pacchetto cinematografico, fatto di lungometraggi (di fiction e documentari), corti e animazione, due forme di espressione visive che stanno conquistando un posto di grande rilievo nell’immaginario contemporaneo: l’Ultra Reality, che terrà il cartellone del BASE, con ben sedici proposte internazionali di esperienze immersive davvero particolari, in cui il pubblico potrà trovarsi a vivere nel mondo dei manga o accanto alle combattenti yazide, tra gi astronauti della Nasa e perfino nell’aldilà; e l’Art Cinema, signore del cartellone al Teatro Litta dove il Collettivo Alterazioni Video, di ritorno dalla Russia dove sta girando un progetto incentrato sulle fake news, monterà il suo “turbo-film” in diretta, discutendo scelte e ispirazioni davanti al pubblico.
Se queste sono le proposte in qualche modo estreme del MFF, il piatto forte ovviamente resta l’offerta cinematografica che inizia dalla rassegna The Outsider, la quale offre innanzitutto, in anteprima italiana, Le livre d’image–The Image Book l’ultimo film del maestro di Jean-Luc Godard, Palma Speciale a Cannes, un mosaico in movimento di citazioni filmiche e letterarie sull’Europa e la violenza. Da segnalare poi il durissimo, fisico e dionisiaco Climax di Gaspar Noé premiato a sua volta sulla Croisette, nella Quinzaine, un film sull’estasi della danza e sul desiderare il proprio e altrui corpi, fino all’autodistruzione; U-July 22 di Erik Poppe, 72 minuti per un unico piano sequenza che segue la fuga di una ragazza durante la strage di un estremista di destra che causò 69 vittime nel 2011 a Utoya, in Norvegia;The World is Yours di Romain Gavras, giovane autore di videoclip controversi, da M.I.A. a Jay Z, che firma un gangster movie con Vincent Cassel e Isabelle Adjani tra il paradosso e il kitch; Diamantino di Abrantes e Schmidt, in cui il più grande calciatore portoghese, sosia di CR7, rischia di diventare suo malgrado testimone del nazionalismo. E da Venezia 75, Non-Fiction, l’ultimo film di Olivier Assayas, una brillante commedia con Guillaume Canet e Juliette Binoche sull’editoria e il lavoro culturale nell’era dell’e-book.
Al centro del Festival resta però il concorso per i lungometraggi, otto quest’anno in gara, dove predominano temi di relazione, come la famiglia e l’appartenenza, e molti personaggi legati al mondo dell’adolescenza: la dimensione comunitaria di un kibbutz sta in The Dive dell’israeliano Yona Rozenkier e quella più disfunzionale in Thunder Road dello statunitense Jim Cummings, Gran Premio della Giuria al festival South by Southwest, mentre la crisi stessa dell’istituzione famigliare è il tema di Virus Tropical di Santiago Caicedo, tratto dalla graphic novel di Paola Power, C’è chi riflette sull’identità individuale (Denmark di Kasper Rune Larsen e Crystal Swan della regista Darya Zhuk, primo film della Bielorussia in corsa per gli Oscar) o di un’intera nazione (The Mercy of the Jungle dell’ugandese Joël Karekezi e The Third Wife della vietnamita Ash Mayfair, miglior fllm asiatico al Festival di Toronto 2018. Luz del tedesco Tilman Singer, è infine un oscuro horror di possessione demoniaca
Lo storico Concorso Cortometraggi, riservato a registi under 40, quest’anno conta su 38 titoli selezionati fra ben 1300lavori arrivati da più di 30 paesi diversi. Un universo in continua evoluzione, che passa dalla commedia (The Seventh Continent) al “romanzo famigliare” (Palookaville e Heimat), fino all’horror de La Persistente. Il mondo degli adulti è visto dalla prospettiva infantile in Shadow Animals, la bizzarria del quotidiano si svela in Fucking Bunnies, la rivoluzione diventa un gioco di ruolo in Bullet Points for Revolution. Varie anche le tecniche impiegate, come la stop motion di Blind Mice, e diversi i temi: Tracing Addai è un documentario animato sui giovani foreign fighters nel conflitto siriano. Hamama & Caluna tratta con delicatezza e senza paternalismo la questione migratoria
Last but not least, l’Immigration Day del 2 ottobre al Piccolo Teatro Stuio Melato, con proiezione di It Will Be Chaos di Lorena Luciano e Filippo Piscopo, documentario prodotto dal canale Usa Hbo che segue un migrante eritreo sopravvissuto al naufragio di Lampedusa del 2013 e l’Omaggio a Matteo Garrone, che potrerà in sala i suoi primi tre film, Terra di Mezzo (1996), Ospiti (1998) e Estate romana (2000) e dialogherà con lo scrittore Antonio Scurati alla Cineteca Spazio Oberdan su “cinema e storie”.