Mimmo Borrelli si racconta

In Interviste, Teatro

Intervista a Mimmo Borrelli: un bilancio sul passato “recente” e sul prossimo futuro da parte del talentuoso artista napoletano

Napoli, Piazza della Carità, circa mezzogiorno. Stiamo passeggiando e chiacchierando fianco a fianco, quando assisto a questa scena. Una ragazza di una ventina d’anni ci si avvicina timidamente e scusandosi in mille modi si lascia andare in infiniti complimenti. «Scusi tanto, signor Borrelli, non lo faccio mai, ma stavolta non mi posso trattenere. Io devo ringraziarla ancora dopo tanto tempo! Mi ha fatto alzare a un’ora che non girano nemmeno le janare (le streghe della tradizione napoletana, N.d.R.)… ma ne valeva davvero la pena! Quello che abbiamo visto quella mattina sulla spiaggia resta una delle esperienze più emozionanti della mia vita! Ancora grazie».

Mimmo Borrelli la ringrazia tra l’imbarazzo e la soddisfazione e dopo averla congedata mi spiega: «Sì. Fu davvero una bella avventura. Era nell’ambito del mio piccolo Efestoval (il festival itinerante dei Campi Flegrei e dei Vulcani, N.d.R.). Avevamo organizzato, con i miei attori dell’Opera Pezzentella, una sorta di happening di drammaturgia e teatro alle prime luci dell’alba sulla spiaggia. Tutto promosso in rete, fondamentalmente una follia destinata agli amici. Invece ci siamo ritrovati circondati da centinaia e centinaia di persone accorse da ogni parte di Napoli, talmente tante che la poca amplificazione non era affatto sufficiente. Eppure tutti si sono fermati per l’intera mattinata!».

Allora perché non ripetere l’esperienza, magari in modo più organizzato?
Sarebbe davvero da ripetere, ma non in questo momento. Con l’Efestoval ci siamo presi una pausa. Dopo quattro edizioni siamo in attesa finalmente di un riconoscimento da parte delle istituzioni che ci hanno sempre detto tante belle parole di lode, ma con i cordoni della borsa sempre serrati. L’ultima edizione è stata realizzata a costo zero solo grazie al volontariato offerto dagli attori, e non è giusto che chi lavora non abbia il degno compenso. Così si è deciso di dar al festival una cadenza biennale sia per avere più tempo per scegliere gli spettacoli e gli interpreti più adeguati, sia per vedere se davvero questa volta le istituzioni riconoscono il valore del lavoro che facciamo.

Nel frattempo, però, ci sarà modo di rivedere gli straordinari attori che tu hai formato nei tuoi laboratori e che ora son sulla via della fama anche oltre le mura napoletane? Basti pensare a Marianna Fontana che ha incominciato con te ben prima dei film Indivisibili e Capri-Revolution.
Marianna si trova in una fase molto particolare della sua vita. Ha tutte le doti per diventare una grande grande grande attrice, ma deve capire cosa vuol davvero diventare. Ed è sottoposta a pressioni e condizionamenti ambientali veramente notevoli. Le sue attuali scelte professionali e familiari saranno fondamentali per il suo futuro. Anche il successo personale che ha riscosso in La cupa potrebbe esserle di freno anziché di impulso. Venendo al discorso sulla formazione degli attori va detto che è un discorso lungo. Da un lato per i giovani dei Campi Flegrei, dove opero di frequente, ma come ho verificato non solo per loro, è una forma straordinaria di scoperta di sé stessi e di cosa significhi potersi esprimere. I giovani sono prodigiosi nella loro freschezza, ingenuità, forza espressiva. Perfino nell’ignoranza che spesso dimostrano anche nei confronti di ciò che noi diamo per acquisito e per ovvio. D’altronde per me, l’insegnamento, il tenere laboratori è una forma di sostentamento economico… negli ultimi tempi forse addirittura l’aspetto fondamentale del mio sostentamento.

Anche per un autore/attore/regista come te?
Sto uscendo da un periodo abbastanza difficile, in cui gli incastri delle situazioni lavorative non sono stati dei più favorevoli. Tutto è iniziato dopo il successo non del tutto previsto dello spettacolo La cupa. Per quanto non sia stato visto da molte persone (la ristrutturazione scenografica del Teatro San Ferdinando prevedeva un numero ridottissimo di spettatori e veniva presentato diviso in due diverse parti portate in scena a settimane alterne, N.d.R.) è stato però premiatissimo e sono state centinaia e centinaia le richieste al teatro da parte del pubblico che non era riuscito a comprare i biglietti. Io ero alle stelle con l’unico rammarico di non averlo potuto mostrare a Franco Quadri (critico deceduto nel 2011, N.d.R.) a cui devo tutto. Era l’aprile del ’18 e mi era stato assicurato che sarebbe stato nella stagione successiva. Era già stata fissata anche una corposa tournée che sarebbe approdata anche al Piccolo di Milano e al Carignano di Torino. Poi sono intervenute delle incomprensioni – chiamiamole così… incomprensioni! – tra la produzione del Mercadante e i teatri ospitanti e tutto è saltato.

E poi?
La delusione è stata forte, più nei confronti dei miei attori che non per me stesso, in quanto ci si ritrovava per un intero anno senza una scrittura sicura. Intanto ero stato contattato dalla produzione della serie televisiva tratta dai romanzi del Commissario Ricciardi di Maurizio de Giovanni per un ruolo perfetto per il mio tipo di fisicità e per il mio modo di recitare. Ci eravamo già sentiti anche col protagonista Lino Guanciale, che conosco bene e mi stima da tempo, e perfino lui si era detto felice di riuscire a fare finalmente qualcosa insieme. Sembrava tutto confermato fino alla vigilia della firma del contratto, quando è iniziato un tira e molla tra le mie telefonate e il silenzio della produzione. Il perché è più che ovvio col risultato che alla fine mi son ritrovato senza la scrittura televisiva e anche senza quella teatrale da parte del Mercadante. Momento nerissimo! Per fortuna avevo i giovani dei laboratori che mi tenevano su di morale. E ho avuto richieste anche per i miei monologhi al fianco del mio musicista Antonio Della Ragione.

Cos’è cambiato nel frattempo?
C’è stato il cambio della guardia alla direzione del Mercadante, un vero terremoto qui a Napoli, in cui mi sono trovato coinvolto in prima persona anche con cause legali. L’arrivo di Roberto Andò al posto di Luca De Fusco ha rivoluzionato la mia posizione sia in Teatro che nel panorama cittadino. Andò ha organizzato una parte della stagione attorno alla mia figura e ai miei lavori, in quanto espressione del territorio, e mi ha chiesto di essere una sorta di “suo occhio napoletano” quando lui si trova assente dalla sede per i suoi altri possibili impegni professionali. Per prima cosa ha voluto che già in questa stagione ‘19-‘20 La cupa abbia una ripresa al San Ferdinando e una tournée nazionale e così lo spettacolo potrà esser visto dai tanti spettatori napoletani che l’hanno reclamato a gran voce e a seguire arriverà anche nei teatri del Nord. Questa mia nuova posizione prevede anche che anno dopo anno ci sia sempre un mio spettacolo in cartellone. Un modo per tener vivo il repertorio ma che permette anche nuove produzioni. Mi sarà così possibile riportare in scena Opera Pezzentella nella sua sede naturale, nella Chiesa di Santa Maria del Purgatorio ad Arco… anche questo uno spettacolo con relativamente poche repliche e molto richiesto (anche per il ridotto numero di spettatori ammessi, circa 70, N.d.R.). Ma dovrei allestire di nuovo anche La madre nella sua forma originale “nel pozzo”, con una compagnia di più interpreti e non in forma di monologo con musica. In più mi dovrò occupare di altre attività per il teatro, ovviamente con un occhio speciale per la drammaturgia contemporanea non solo italiana. Un fardello non da poco e tutto insieme, ma molto stimolante e di soddisfazione!

Un handicap per La cupa era stata la divisione in due parti che il pubblico poteva vedere solo a una settimana di distanza l’una dall’altra. Sarà ancora così o sono previste “maratone” integrali?
No, stavolta non sarà così. Ci organizzeremo per fare lo spettacolo per intero e tutto di seguito. Nell’allestimento originale avevamo avuto pochissimo tempo per prepararci, un mese all’incirca di prove, e la complessità tecnica era tale con una sfera enorme che passava a pochi centimetri dalle ginocchia degli spettatori per cui non ci sentivamo in sicurezza per noi attori e per il pubblico. Temevamo che la fatica fisica ci portasse alla distrazione e la distrazione al possibile incidente. La divisione in due parti era dovuta anche a questi timori. Alla fine delle repliche, però, ci siamo accorti che avevamo preso confidenza con i tempi e con le dimensioni della scena e che avremmo potuto tranquillamente reggere una filata intera. Così s’è deciso che per la ripresa in questa stagione si farà l’integrale di tre ore. Piuttosto ci saranno un po’ di differenze in relazione ai teatri in cui andremo a recitare. Qui al San Ferdinando sarà tutto come al debutto, ma per teatri come l’India di Roma o il Verdi di Padova pensiamo a una elaborazione su un unico piano scenico. Non per altro ma, da semplici sopraluoghi, mi sono accorto di quanto antiquate siano le strutture dei nostri teatri che non hanno graticce in grado di reggere un peso relativamente modesto come i 400 kili della nostra sfera. Certi “effetti speciali” andranno forse perduti, ma faremo in modo che il senso del lavoro resti il medesimo.

Quella che vai raccontando è una bella avventura, ma è un’avventura che guarda al passato. Cosa bolle in pentola invece per il futuro?
Sto lavorando a una elaborazione in chiave contemporanea dell’Otello shakespeariano di cui oltre che autore del testo intendo curare anche la regia. Ho già il titolo giusto: L’infedele. Sono ancora in fase di scrittura e non tutto mi è ancora chiaro, ma so che inizierà con un monologo. Con il protagonista che racconta la sua storia di laureato dell’Africa subsahariana che a fianco del fratello ha fatto tutto il percorso verso le coste europee; nella traversata in mare ha visto annegare il fratello senza riuscire ad aiutarlo e tantomeno a salvarlo e ancora si trascina dentro, irrisolta, quella tragedia. Si tratta di una vicenda autentica che mi è stata raccontata da un immigrato e che starà alla base dell’intero spettacolo. Il protagonista una volta arrivato da noi diventa capocantiere di un importante costruttore edile e qui gli viene assegnato il posto che avrebbe dovuto andare allo storico braccio destro dell’imprenditore, così che ne scatena l’invidia e la sete di rivalsa. Tutto questo racconto in realtà è un ricorrente incubo notturno che viene raccolto dalla figlia del costruttore edile e così finisce per innamorarsi di lui. Per il resto non so ancora come si articoleranno con precisione i fatti. Di certo so che alla fine “Desdemona” non morirà. Ho presente alcuni punti precisi della storia che intendo sviluppare, sia il carattere di Iago che il contesto sociale che voglio portare in scena, ma tutto è ancora in fase di scrittura e la scrittura non si sa mai dove ti porta a parare.

Come si concilia la tua lingua drammatica scritta in versi e fondata su vocaboli arcaici (o postatomici) con una vicenda realistica come quella a cui hai appena accennato?
Questa volta userò la prosa. Una prosa forse differente da quella abituale, più astratta e allusiva, ma sarà prosa. Ma anche su questo aspetto non posso dire molto, ribadisco che è la scrittura che si indirizza e ti indirizza verso dove è necessario arrivare per esprimere ciò che si vuole esprimere. Sarà una nuova avventura.

Immagine di copertina © Marco Ghidelli

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