Si è svolta in provincia di Verbania dal 21 al 23 giugno scorsi, nella zona che si estende tra Madonna del Sasso e Boleto, la seconda edizione di Minatori del Suono Fest, festival d’arte (musicale ma non solo) che trasporta i visitatori in una dimensione fortemente legata alle tradizioni del territorio.
Minatori Del Suono, festival giunto quest’anno alla sua seconda edizione, suggerisce già dal titolo suggestioni tattili e scultoree. Le performance in programma – tutte con un focus sulla storia del luogo legata alla lavorazione del granito, una storia che porta con sé perizia tecnica e vite di persone che trovavano a volte nel ritmo di battitura della pietra con strumenti variegatissimi e spesso rudimentali un sollievo e una modalità di scampo al dolore e alla fatica – si sono svolte tra il santuario di Madonna del sasso, il Museo dello scalpellino nella frazione di Boleto, museo inserito nel circuito di Ecomuseo del Lago d’Orta e Mottarone, e il giardino storico che apre un varco a partire dalla piazzetta del paese, affacciata proprio sul Lago d’Orta. La cornice del luogo è meravigliosa, in questo giugno piovoso, tanto da rendere la vegetazione ancor più ricca e scoppiettante del solito, generativa verdura accesissima, tentacolare.
Una delle performance realizzate durante questa tre giorni di musica, incontri, talk e laboratori ha visto, presso il santuario di Madonna del Sasso, Sergio Maggioni e Italo Bigioli dialogare attraverso l’uso dello strumento del corno (animale e ligneo), nell’intento di restituire uno sguardo sonoro su una ricerca che i due artisti e studiosi portano avanti, parallelamente e insieme, dal 2018. Neunau, il progetto-alias di Maggioni, nasce dal suo incontro con il territorio della Val camonica nel 2015 e con tutte le suggestioni legati all’età del ferro e alle sue tracce, e successivamente prosegue attraverso la collaborazione con il ricercatore Italo Bigioli, e da uno scambio che si fa intriso di riferimenti antropologici e storici, dove i saperi dei due si intersecano in una collaborazione feconda. Nel 2018 Maggioni registra le armonie di questi strumenti labrofoni suonati da Biglioli, ponendoli in risonanza con la roccia e con un riparo che si sviluppa attraverso di essa, che sarebbe stato usato poi immaginificamente dai due ricercatori durante una violenta tempesta che si è abbattuta sul luogo poco dopo.
Il temporale, fortunale per gli antichi, diventa momento di passaggio che modifica la capacità di risonanza del posto, modificandone la struttura, cambiandone i connotati, andando a stravolgere anche l’esperienza umana d’incontro con lo spazio. Una volta reso nuovamente agibile il sentiero che conduce al posto devastato e trasformato dalla tempesta, Italo e Sergio si ritrovano nuovamente per registrarne gli abiti sonori. Questo scorcio temporale e spaziale nel quale si trovano ad agire viene documentato in un’opera audiovisiva fruibile all’interno del Museo dello scalpellino, Museo che svela inoltre, nella sala adiacente a quella che ospita la proiezione, carte tematiche descriventi il lavoro dei minatori attraverso le epoche e mostra una selezione di vari strumenti di lavoro portanti i segni del tempo ma ottimamente conservati e catalogati.
Italo Bigioli racconta dettagliatamente la sua pratica come qualcosa di ancestrale che lo conduce ad un rapporto privilegiato con la natura, di continua crescita e scambio reciproco. Parla del fraxinus excelsior, specie che cresce ad oltre 1100 metri e che offre un legno dalle capacità armoniche straordinariamente ampie, e parla dell’abete e di come quest’ultimo dia uno spettro differente, così come differente è lo spettro armonico del corno di animale. L’audiovisivo “Riparo sotto roccia prima della tempesta vaia” è un’opera dal taglio documentaristico sviluppata su più livelli compositivi, con immagini del luogo che si sovrappongono svelando la grandezza fisica della natura e uomini che, più piccoli, le si muovono sopra ed attraverso, cercando di risuonare tramite l’uso esperto degli strumenti da lei forniti, ricordandosi sempre di ringraziarla in una modalità rituale. I verdi rigogliosi del dopo tempesta mostrano una cura che attraverso l’acqua si manifesta vitale e accesa; l’opera sonora che avvolge la vegetazione quasi pittorica è uno sgorgare di acque tintinnanti intervallate da richiami grevi, secolari, prodotti dal suono dei corni.
Fuori dal Museo intervengono le Riciclette, quattro amiche con all’attivo da molti anni un progetto musicale che vuole portare in giro ritmi percussivi e polifonie vocali coinvolgenti e spesso improvvisate unitamente ad una mescolanza di suoni tradizionali prevalentemente attinti dal Sud del mondo. La loro performance per Minatori del Suono si sviluppa in due parti, una verticale intorno alla ritualità simbolica intorno al segno del cerchio, disegnato a sanguigna e posto in intersezione con una pluralità di cerchi, arrivando ritmicamente alla rappresentazione archetipica del fiore della vita, mentre nella seconda parte il ritmo veniva scandito dalle quattro artiste dai ferri del mestiere e dai contenitori dentro i quali il granito veniva sgranato, spaccato, limato, a ricordare la maniera rituale con cui i minatori si apprestavano a lavorare, scandendo il tempo dei colpi alla pietra attraverso canti corali travolgenti.
All’interno del Museo di Boleto, nella sala dedicata alle carte tematiche e all’esposizione dei vari strumenti di lavoro, porta la sua opera Laura Agnusdei, artista che lavora con lo strumento del sax, suonata e adoperata in maniera non convenzionale indagandone le possibilità di armonie e disarmonie con una modalità scultorea, modellante del suono stesso e del suono dell’ambiente. La giovane artista narra attraverso le sue partiture sonore lo scandirsi dei vari momenti della giornata del lavoratore, e delle varie situazioni possibili. Il suo strumento musicale si relaziona agli strumenti di lavoro, gli si avvicina ed emette suoni con cui entrano di volta in volta in vibrazione, generando complesse sfumature uditive ed emotive. Il secondo dispositivo che Laura Agnusdei utilizza insieme alla tromba è un rullante, amplificato e registrato in presa diretta, sul quale l’artista ha posto dei piccoli campanellini e una banda metallica formata da tante sottili catenelle che, nel danzare sulla pelle del rullante stimolato dall’aria emessa dal suono della tromba ravvicinatissimo, producono granelli sonori minuscoli come chicchi di materia granitica, sassolini giocosi e sfuggenti.
Riportando lo spazio al silenzio apparente – perché l’essere scultore e pittore del suono è una interminabile presenza del reale che lavora sempre e avvolge l’esistenza, perciò il silenzio può essere solo apparente – l’artista estrae dallo strumento a fiato un pezzetto di alluminio accartocciato, posizionato da lei al suo interno, come per cercare un suono ingolfato, dal respiro guasto, aprendo una riflessione sui problemi legati allo svolgimento di un lavoro così duro e sfiancante come quello del minatore, che spesso portava alla malattia respiratoria, e spiega come abbia cercato di ricreare i suoni riproducendo i vari momenti della giornata lavorativa.
Aspettando la prossima edizione, MDS Fest riesce ad essere uno scorcio significativo di bellezza condivisa e riflessione corale. Un momento, spaziale e temporale, di festa e di celebrazione partecipata attorno ad una resistenza, immaginata e quindi agìta.
MDS Fest, Madonna del Sasso (VCO), Lago Maggiore