Una nuova puntata della rubrica dedicata agli architetti che hanno fatto grande Milano. Oggi è il turno di Giulio Minoletti: pochi conoscono il suo nome ma il suo lavoro, tra progetti avveniristici e interventi critici sui maggiori quotidiani, ha contribuito in maniera decisiva a plasmare il volto moderno di Milano. E per primo seppe capire che anche l’illuminazione pubblicitaria, se integrata in un progetto architettonico, può svolgere un ruolo di abbellimento della città. Questo è il suo ritratto
Il profumo del passato è debolissimo in confronto alla forza viva del presente
Giulio Minoletti, «Il Corriere della Sera», 9 maggio 1952
Minoletti e Milano, da lui stesso definita “una fra le città oggi più vitali d’Europa e, senz’alcun dubbio, la più vitale d’Italia”: un rapporto profondo, intessuto di svariati progetti realizzati in un periodo di quasi cinquant’anni, spesso in collaborazione con artisti e architetti suoi contemporanei (Fontana, Bottoni, Gardella, Albini, Ponti). Le opere di questo poliedrico autore furono estremamente apprezzate all’epoca e frutto di numerose pubblicazioni sia in Italia che all’estero; nonostante tale notorietà la figura di Giulio Minoletti (1910-1981) rimane poco nota e il suo vasto corpus è stato studiato finora solo in parte. Spesso i rimaneggiamenti subiti da molte opere di Minoletti non permettono di apprezzarne l’impatto originario, finalizzato alla valorizzazione di Milano come città moderna e all’avanguardia, protesa con fiducia verso il futuro.
Un primo sguardo sulle opere di Minoletti restituisce l’immagine di un curioso sperimentatore, il cui repertorio vasto e articolato non va a definire una vera e propria maniera formale; tale varietà esplicita la vitalità dell’architetto milanese, i cui lavori vennero concepiti come risposte concrete alle necessità del tessuto urbano di una città in trasformazione, come era la Milano del boom economico. A partire dal secondo dopoguerra infatti Minoletti partecipò attivamente al dibattito sulla crescita e lo sviluppo della sua città natale, non solo proponendo valide e innovative soluzioni architettoniche ma anche manifestando le sue posizioni sulle pagine di importanti quotidiani, evidenziando la necessità di un impegno corale e di norme precise per Milano, al fine di evitare disordine e speculazione.
Tali riflessioni, improntate su tecnologia e innovazione, rivelano l’originalità di pensiero di un progettista in anticipo sui tempi, in grado di approcciare dialetticamente la tradizione con i suoi vincoli: le opere di Minoletti, pur nella loro dissomiglianza, recano il segno della vivacità dell’architetto-innovatore. Tale atteggiamento non esclude il rispetto verso il contesto storico: eloquente in questo senso l’edificio per abitazioni in via Filippino degli Organi (1939-40), la cui ordinata composizione della facciata, incentrata su pochi elementi (basamento, balconi, finestre) si pone in un tacito e rispettoso dialogo con gli edifici circostanti tramite un’accurata scelta di colori e materiali. Anche nella successiva edificazione al Giardino d’Arcadia (1955-59) Minoletti si misura con quanto il contesto offre, in questo caso col grande giardino e il prospiciente condominio realizzato da Gardella tra il 1951 e il 1953, che la stessa autorità municipale propose come riferimento per le altezze. La facciata di Minoletti riprende i rapporti dell’edificio di Gardella impostando l’alzato sulla linea delle balconate; l’orizzontalità della facciata, sottolineata dalle ringhiere dei parapetti, viene scandita dalle diverse inclinazione delle vetrate e dall’alternanza di pieni e di vuoti, andando a definire un elegante gioco geometrico in cui anche le scelte cromatiche giocano un ruolo di rilievo.
L’estro di Minoletti declina soluzioni che rivelano una forte carica innovativa: in questo senso è esemplare l’edificio Liquigas in Corso Venezia (1950-53), la cui facciata regolare, strutturata da una maglia ortogonale di marcapiani e fasce verticali e rispettosa degli allineamenti imposti dai fronti circostanti, viene stravolta di sera, quando dei dispositivi luminosi, collocati in un apposito alloggiamento, illuminano la rigorosa composizione, trasformando le finestre in colorati messaggi pubblicitari. L’integrazione dell’illuminazione pubblicitaria all’interno del progetto architettonico era sostenuta strenuamente da Minoletti: l’architetto infatti riteneva che la pubblicità, se sapientemente calibrata con i sistemi di illuminazione notturna, potesse svolgere un ruolo di abbellimento della città. L’illuminazione pubblicitaria non è quindi da considerarsi un imbruttimento, un’appendice indesiderata seppur necessaria, ma un valore aggiunto alla bellezza dell’edificio e della città. Pubblicità, architettura e tempo: nel corso della giornata l’edificio cambia volto, tramutandosi da compatta cortina urbana a spumeggiante scenografia all’aria aperta, simbolo della eterogenea varietà della città moderna.
L’edificio Liquigas getterà le basi di un altro intervento architettonico intimamente connesso con il tema dell’illuminazione artificiale: si tratta del Palazzo di fuoco in Piazzale Loreto (1958-1961), realizzato interamente con superfici vetrate illuminabili. Posto in una situazione urbana di grande visibilità, fruibile da numerose prospettive, l’edificio si offre a differenti scorci; da qui deriva la scelta di una facciata regolare, modulata da 658 finestre che di sera assumevano una singolare presenza luminosa: un arcobaleno di luci fluorescenti. Sul tetto-terrazza, a mo’ di coronamento, svettavano delle vere e proprie composizioni, ora rimosse: una stazione metereologica, un nastro su cui scorrevano le notizie quotidiane e quello che fu l’orologio luminoso più grande d’Italia coi suoi nove metri di diametro. Tale efficace declinazione architettonica dell’illuminazione notturna, inedita per l’Italia e l’Europa di quegli anni, concorreva a creare un’originalissima scenografia, in grado di sbalordire i milanesi.
L’abilità progettuale di Minoletti si manifestò anche nella sua capacità di cogliere i caratteri significativi dei luoghi e dei contesti in cui operava, per metterne in valore le qualità attraverso l’architettura. L’inclusione della città e della natura negli spazi di vita è il tema di molti suoi progetti: ad esempio la mensa per gli impiegati Pirelli alla Bicocca (1954-56), demolita nel 1998, concepita come una platea direzionata verso un declivio erboso che, come la scena di un teatro, ferma lo sguardo in uno spazio interno vivacizzato da colori accesi e festosi, come il giallo e il rosso. Anche nella progettazione delle infrastrutture, fondamentali per il rinnovamento della città moderna, Minoletti propone soluzioni avveniristiche, futuribili, strettamente interconnesse con il contesto in cui si trova ad operare. Emblematico in questo senso il progetto della Stazione di Porta Garibaldi (1956-60), concepito come un complesso snodo intermodale collegato alla metropolitana sotterranea; nel progetto originale era prevista, con un’intuizione estremamente lungimirante, un sistema di collegamenti alla Stazione Centrale e una linea ferroviaria diretta a Malpensa. La stazione odierna non corrisponde al progetto originario in quanto frutto di una drastica rielaborazione e riduzione delle intenzioni di Minoletti; nel corso degli anni l’edificio è stato ulteriormente trasformato attraverso diversi interventi di ristrutturazione condotti negli anni Ottanta e nei primi Anni Duemila.
Minoletti si prefigge di scompigliare le abitudini visive proponendo inediti piani di fruizione degli oggetti, suggerendo così un nuovo modo di guardare che sconvolge le convenzioni. Tale approccio innovativo si spinge oltre ai confini consueti dell’architettura: sulla base di alcune osservazioni sull’inadeguatezza della forma e del materiale delle automobili nelle città, considerate troppo fragili e inadeguati, nel 1953 Minoletti si misurò con la progettazione di un’automobile sportiva con tetto rigido monoblocco e portiere scorrevoli. Nello stesso anno affrontò il disegno degli interni del treno Settebello, la cui cabina di testa viene ingegnosamente concepita come un confortevole salotto da cui ammirare paesaggi quanto più ampi possibili.
Trasmettere nuove sensazioni, far percepire le cose da punti di vista inconsueti, concretizzare visioni: questo è quanto Minoletti si prefigge nella definizione della sua personale visione di una Milano in rinnovamento, dinamica, una grande metropoli del futuro la cui bellezza non deve avere a che fare con la nostalgia o con il pittoresco, ma deve essere attuale, improntata sulle nuove tecnologie e su una società proiettata verso il futuro.
Immagine di copertina:la stazione di Porta Garibaldi, progettata da Giulio Minoletti tra il 1956 e il 1960
Per approfondire, su Giulio Minoletti si possono vedere:
Giulio Minoletti. Architetto, urbanista e designer, a cura di C. Sumi e A. Viati Navone, Mendrisio Academy Press 2014.
Architetture di Giulio Minoletti, a cura di K. Accossato, M. Montagna, L. Trentin, E. Zanella, Shin Production, Brescia 2009.
http://www.ordinearchitetti.mi.it/it/mappe/itinerario/35-giulio-minoletti-e-milano/saggio