Babis Makridis condivide col più noto connazionale Lanthimos un’ispirazione intellettuale e uno stile di racconto in bilico tra tragedia e commedia. Con piglio provocatorio racconta la surreale parabola di un avvocato che rifiuta la gioia per l’attesa guarigione dell’amata moglie, perché la sua tragedia gli ha regalato un’identità. Collocandolo al centro di una rete di relazioni affettuose e appaganti
La galassia Lanthimos ha prodotto un nuovo protagonista, altrettanto gelidamente intellettuale, a suo modo ironico e provocatore del capostipite, il 49enne Babis Makridis, che con il suo secondo film, Miserere, ha girato fra l’anno scorso e il 2019 il mondo dei Festival uscendone spesso premiato, da Sundance a Torino, da Hong Kong a Karlovy Vary, da Rotterdam, ovviamente ad Atene. Oltre alla comune nazionalità greca, che scintilla nei bellissimi esterni marini e boscosi, contrappunto però altrettanto freddo alla psicologia spietatamente e patologicamente egotista del suo protagonista, il film sfoggia il contributo di scrittura di Efthimis Filippou, che dopo aver sceneggiato due apprezzati lavori di Lanthimos (The Lobster e Il sacrificio del cervo sacro) mette la firma, insieme al regista, anche sotto il copione di questa black comedy familiare che poggia tutta sulle (indubbiamente solide) spalle attoriali di Yannis Drakopoulos.
Tocca a lui l’impegnativo ruolo dell’avvocato al centro del racconto, di cui ascoltiamo a tratti, come una sorta di chiosa dei fatti che vediamo, parti di arringhe declamate con enfatico stile forense nel tentativo di mostrare, a sé e agli altri, quanto le sorti delle persone che si rivolgono a lui professionalmente gli stiano a cuore. In realtà, e non potrebbe essere altrimenti, è il suo di dramma che lo sconvolge prima di tutto: l’amatissima moglie (Evi Saoulidou) giace infatti in coma in un letto d’ospedale, e l’uomo deve imparare a convivere, e a far convivere il figlio adolescente (Pavlos Makridis), con l’idea che sarà ben difficile in futuro un suo ritorno alla piena coscienza.
Ma il vero tema del film è un altro, e riguarda lui e lui solo. Il perdurare di questo dramma stringe attorno a quest’uomo dal volto imperturbabile una rete di compassione e affetto (non solo il padre e gli amici: anche la segretaria dell’ufficio, la vicina prodiga di torte, il tintore prodigo di sconti) che gareggia in importanza solo con l’abitudine, presto tramutata in vera dipendenza, a una disperazione lacrimevole diventata l’unica e sola possibile compagna. Una compagna appagante, collettiva, che gli dà un ruolo, un senso, uno stile di vita. Tanto è surrealmente compiuta e “rotonda” la vita in questa nuova forma, che quando, miracolosamente e di colpo, l’amata consorte si risveglia, vicina a una completa guarigione, incredibilmente il mondo gli crolla addosso. E quella che avrebbe dovuto essere la più lieta delle notizie si trasforma nel più destabilizzante degli eventi psicologici. Tanto da trasformarlo poco a poco in qualcosa che molto somiglia a uno dei cruenti protagonisti dei processi cui è chiamato ogni giorno attivamente ad assistere.
Sarebbe però inesatto dire che Miserere è la storia di una patologia psichiatrica, o almeno, se ne presenta alcune evidenti caratteristiche, non pare ciò che veramente interessa a Makridis. Qualcosa di più filosofico, profondo, universale e insieme egoistico sembra spingere l’avvocato a preferire l’eterna infelicità al ritorno alla gioia, pur di essere, restare al centro del suo piccolo universo. Qualcosa che più della catarsi antica della tragedia evoca l’insicurezza, l’instabilità contemporanea: e forse il lato più interessante del film è che l’esercizio sarcastico di deformazione del quotidiano si applica nel film non a un grande personaggio ma a un soggetto qualunque, un uomo senza qualità che mai abbandona la sua mediocrità. Neanche nel momento in cui decide di far precipitare in tragedia l’esistenza sua e degli altri perché ha deciso di rifiutare la bellezza in favore della disperazione, purché riconosciuta socialmente.
A tratti il racconto, forse nel tentativo di alleggerire l’atmosfera, è un po’ “appesantito” dall’ironia dello stile narrativo e del lato surreale presenti nella storia. Una contraddizione? Forse, ma ben giocata e raccontata.
Miserere, di Babis Makridis, con Yanis Drakopoulos, Evi Saoulidou, Nota Tserniafski, Makis Papadimitriou, Georgina Chryskioti, Euxodia Androulidaki