Alla sua quarta regia, Susanna Nicchiarelli racconta la vita drammatica della figlia del teorico del “Capitale”, anche lei militante socialista, e proto-femminista ma in privato succube di un uomo crudele e traditore. Nonostante l’ottima prova di Romola Garai il film non riesce a fondere al meglio le asprezze quasi anarchiche e la lezione di storia. Puntando sulla messa in scena ma poco sul pathos
Miss Marx di Susanna Nicchiarelli è un film biografico segnato dalla morte: ci presenta l’attivista socialista Eleanor Marx (Romola Garai che regala un’ottima performance) al funerale del suo celebre padre Karl, e la segue fino al prematuro suicidio, a 43 anni. Nel mezzo, i fantasmi del passato e del futuro pesano su di lei: onde e ombre di dolore si muovono nell’ambizioso film, che studia come la protagonista abbia tentato di cambiare il mondo, lottando per migliori condizioni di lavoro della classe operaia e per la parità tra donne e uomini, nonostante un nodo di infelicità si fosse stabilito e si espandesse dentro di lei.
La sceneggiatrice-regista, vincitrice del Premio Orizonti a Venezia nel 2017 con la suggestiva biografia rock Nico, 1988, conferma con questa quarta opera di essere un’autrice di interessi tematici ed estetici insieme. Dopo la sequenza dei titoli di testa a caratteri rosa con sottofondo musicale della band punk statunitense Downtown Boys, che ci fa capire le intenzioni più anarchiche della Nicchiarelli, il film ci mostra Eleanor all’elogio funebre del padre e la sua volontà di onorare ed estendere la sua eredità filosofica, traducendo Das Kapital in inglese e unendosi alla Federazione Socialdemocratica, prima di dividersi per formare il partito rivale della Lega Socialista.
Miss Marx è però appesantito da una scrittura retorico-saggistica e da un insieme di figure storiche supplementari freddamente presentate: chi non è esperto nel capitolo di storia marxista scelto dal film dovrà lavorare duramente per sporadiche ricompense emotive. Perché nonostante l’autrice abbia scelto di ravvivare la pellicola con uno spirito di rivolta punk, evidente dalla colonna sonora anacronistica, il film non abbandona mai del tutto la sua asprezza.
La sceneggiatura è interessata soprattutto alle relazioni della protagonista all’interno di un circolo intellettuale loquace e competitivo, in particolare al legame sentimentale con il collega attivista (e drammaturgo) marxista Aveling (Patrick Kennedy), con il quale ha vissuto, in un clima di crescente tensione, fino alla morte. Una relazione rovinata dall’infedeltà, dalla crudeltà mentale, dall’irresponsabilità finanziaria di lui, che costituisce il punto cruciale del film. La regista è concentrata sull’amara contraddizione tra la pionieristica campagna femminista di Eleanor e la sua sottomissione alla mascolinità tossica nella vita privata, ma non riesce ad arrivare al cuore. E ciò è in gran parte dovuto al fatto che il film è così innamorato delle idee morali e politiche del suo soggetto, cui dedica lunghi periodi sullo schermo, e soliloqui, che i suoi sentimenti diventano relativamente brevi. Aveling poi è rappresentato in modo freddo e inafferrabile e non si vedono molte prove della loro passione autodistruttiva. Lontano da questo gelido centro emotivo, i personaggi entrano ed escono confusamente nella trama.
L’aspetto formale che meno convince del film è il suo mettere fin troppo “in mostra”: la sfacciata colonna sonora punk, culminante con una vertiginosa sequenza di danza, non sottolinea la risonanza contemporanea della storia di Eleanor, piuttosto evoca pallidi echi della Maria Antoinetta di Sofia Coppola. Certo, nel momento in cui i titoli di coda arrivano su una cover di Dancing in the Dark di Bruce Springsteen, è difficile non sussultare: ma non si può accendere un fuoco senza una scintilla, e questa lezione di storia, mirabilmente concepita ed egregiamente interpretata, non ne trova una.
Miss Marx, di Susanna Nicchiarelli, con Romola Garai, Patrick Kennedy, Felicity Montagu, Oliver Chris, Emma Cunniffe, Karina Fernandez, Katie McGovern, David Traylor, George Arrendell, Christoph Hulsen, John Gordon Sinclair