Appunti sparsi sulla prima settimana del popolare festival di musica il cui titolo, eloquente, è Geografie. Dalla inossidabile coppia Mehta – Argerich alla Scala, al superlativo violoncellista Giovanni Sollima allo Strehler. Dai consueti (e fantasmagorici) cori sparsi per la città di Open Singing alla Barocca di Jais allo Studio Melato. Per non parlare degli Attacca Quartet e, ciliegina sulla torta, di Marin Alsop
Il viaggio nel tempo e nello spazio è iniziato: MiTo 2019 ha aperto la sua prima settimana del festival dedicato alle Geografie con una serie di incontri e concerti che hanno permesso al pubblico di immergersi nei panorami sonori più variegati. A partire da Mondi, alla Scala di Milano sotto la direzione del Maestro Zubin Mehta, la Israel Plhilharmonic Orchestra e la pianista Martha Argerich. Un inizio maestoso che fa incontrare i mondi distinti di Beethoven e Berlioz.
Seconda tappa con il violoncellista Giovanni Sollima che sabato 7 settembre si è esibito al Piccolo Teatro Strehler con il concerto Folk Cello. Un palco vuoto e completamente buio, riempito da un violoncello illuminato dall’alto. Un programma che diventa un giro del mondo in quasi 180 minuti, in cui Sollima suona uno, dieci, cento strumenti diversi, ma che tra le mani ha sempre il suo violoncello. Una serata in cui si mette in gioco il confine tra autore e interprete – che qui diventa estremamente sottile – e tra musica colta e popolare. Una prima assoluta, l’esecuzione di Jook-urr-pa, ispirata alle tribù aborigene australiane. Il violoncello viene percosso, cambia la sua identità, poi con una melodia semplice e fortemente tribale, Sollima invita il pubblico ad unirsi al canto catartico. La richiesta della partecipazione dell’uditorio è assolutamente coerente con la voglia del musicista di far entrare in un contesto colto la pratica popolare della condivisione del momento dell’esecuzione, che spesso è rituale, e che viene perfettamente espressa in Jook-urr-pa.
Domenica 8 settembre la audience participation è stata protagonista della serata – concerto con l’highlight del festival: il MiTo Open Singing diretto anche quest’anno da Michael Gohl. Affiancato dal pianista Gianfranco Montalto e supportato dall’energica presenza del Coro Giovanile Italiano, il direttore esperto di cori ha fatto cantare tutti gli spettatori presenti. Il programma proposto variava da alcuni classici del canto corale – come la Messa in Si minor BWV232 di Bach – ad alcuni brani pop riarrangiati da Lorenzo Fattambrini e Raffaele Cifani (La terra dei cachi di Elio e le Storie Tese). Come Nicola Campogrande ha affermato ad inizio serata, Gohl è una di quelle persone che sarebbe in grado di far “cantare anche un microonde”. Il momento, forse, più significativo è stato sentir cantare da tutto il pubblico presente alla Sala Verdi del Conservatorio di Milano il Và, Pensiero uno di quei pezzi che è così intrinseco nella cultura e nella tradizione italiana che non sarebbe necessario avere lo spartito davanti per poterlo eseguire.
Si prosegue sempre all’insegna del canto corale anche lunedì 9 settembre al Teatro Studio Melato con un’elegante programma dell’Ensemble Strumentale LaBarocca diretto da Ruben Jais. In viaggio con Bach è un excursus nel tempo di Johann Sebastian Bach, e nelle città che lo hanno accolto e in cui ha composto le più di duecento cantate sacre: Lipsia, Weimar e Mühlhausen. Quattro sono quelle proposte per il concerto, esordendo con Nach dir BWV 150 (4 voci soliste e un fagotto accanto agli archi), Mein Herze schwimmt im Blut BWV 199 (aria per soprano del giovane Bach su “libretto” di Georg Christian Lehms), Ich armer Mensch BWV 55 (unica aria cantata concepita per una voce da tenore) e la celeberrima BWV 140. Le voci dell’Ensemble Vocale LaBarocca, dirette da Jacopo Facchini sono coadiuvate dai solisti Marie Luise Werneburg (soprano), Thomas Hobbs (tenore) e Mauro Borgioni (basso). Un’appuntamento interessante, volto a cercare di riportarci in quella dimensione sacra e rituale che era la consuetudine ai tempi di Bach e che oggi abbiamo perso.
American Beauty – martedì10, teatro Litta – è necessario in un festival come MiTo (e dovrebbe esserlo anche in tutti gli altri festival italiani) perché dà il giusto spazio e la giusta importanza al genere “contemporaneo” che, a mio avviso, non viene valorizzato come merita. Gli Attacca Quartet hanno eseguito Plan & Elevation di Caroline Shaw, una delle protagoniste dello scenario musicale odierno. Il pezzo si ispira al giardino della villa di Dumbarton Oaks che aveva incantato Stravinskij. Un’ispirazione resa chiara dai vari momenti e movimenti del brano che sembra voglia rievocare il giardino con i suoi rumori e suoni naturali. Ecco che i pizzicati rievocano le gocce di pioggia alternati a momenti di grande foga e di massima quiete. A seguire una prima assoluta europea di Chris Rogerson: Quartetto No. 3 un pezzo che presenta una struttura classica ma che si distingue per la grande sofferenza soprattutto nell’ultimo movimento Prisoners. Il giovane compositore americano ha inoltre sorpreso il pubblico regalandoci la sua presenza in sala, sicuramente in molti avranno il piacere di ascoltare altre sue composizioni in futuro. Ultimo, il Quartetto n. 13 in sol maggiore op. 106 di Antonín Dvorák, perfettamente inserito nel contesto americano in quanto il compositore ceco lo scrisse ripensando al suo periodo trascorso a New York dopo essere ritornato in Boemia. Il grande dinamismo del quartetto alterna momenti di grande esuberanza e ritmiche irregolari a cantabili dolci e melanconici.
La sera di martedì si colora della maestosità di Johannes Brahms, i cui pezzi vengono eseguiti al Dal Verme dall’orchestra del Teatro Regio di Torino sotto la magistrale direzione di Marin Aslop. Tre le proposte del programma di Mitteleuropa, che ci riporta in quello spazio-tempo ormai solo immaginario che erano la Germania e l’Austria brahmsiane. Brahms ha voluto – nella sua grande apertura e volontà di conoscenza e raggiungimento della perfezione così perfettamente romantica – fuggire dallo stile tedesco tutto sommato severo e ricercare delle sonorità brillanti e cariche di sentimento. Ecco che nelle Danze Ungheresi troviamo la passionalità e la ritmica serrata della czàrdà. Variazioni su tema di Haydn op. 56 è un errore in buona fede di Brahms (l’originale è infatti da attribuire al suo allievo Ignaz Pleyel), un errore che è facile perdonare perché la particolare struttura a cinque battute è un vero e proprio decalogo di temi, caratteri e tecniche compositive. La quarta sinfonia, composta ben dodici anni dopo, è un maestoso esempio di tutta l’esperienza di arte sinfonica appresa da Brahms negli anni. Ciliegina sulla torta la direzione di Marin Aslop, la cui carriera eccezionale precede l’esibizione, una delle perle di questo festival. E siamo appena a metà festival.
Immagine di copertina © Lorenza Daverio/MITO SettembreMusica