Un mese di concerti tra Milano e Torino con grandi nomi (tra tutti citiamo Maria João Pires, Ton Koopman, Barbara Hannigan) e tante prime esecuzioni. Ce lo racconta Nicola Campogrande, compositore e direttore artistico del festival
Inizio positivo per MITO, il festival che unisce Milano e Torino in un’unica manifestazione musicale dal programma condiviso tra le due città. Il concerto di ieri sera al Teatro alla Scala, con la londinese Philharmonia Orchestra diretta da John Axelrod, ha segnato la ripartenza dopo l’emergenza pandemica e la grande affluenza di pubblico fa ben sperare gli organizzatori dopo la tanto attesa “uscita dal tunnel”, in cui finalmente sembra veder la luce. Luci, non a caso è il tema dell’edizione 2022 della rassegna. Un messaggio positivo, simbolo di vita e di speranza, che va interpretato con sapienza da chi nella cultura investe tempo e risorse.
Con quindici edizioni alle spalle, MITO ha saputo adattarsi al cambiamento e trovare via via negli anni formule interessanti per avvicinare il pubblico più eterogeneo, non solo grazie a un programma vario e ad ospiti stellari ma anche grazie ai prezzi accessibili voluti fortemente dalla Presidente Anna Gastel. Sono 116 i concerti previsti che si susseguiranno fino al 25 settembre: capolavori della musica classica, tante prime esecuzioni in Italia, più 3 prime esecuzioni assolute, tra le quali due commissioni di MITO dedicate ai più piccoli.
Abbiamo parlato di questa nuova edizione con il compositore Nicola Campogrande, direttore artistico del festival confermato anche per il 2023.
Che significato ha il tema scelto per quest’anno?
Il tema Luci è curiosamente presente in molte partiture. Sfogliando la storia della musica ci si accorge che i musicisti hanno riempito le loro pagine spesso con indicazioni come oscuro, tenebroso, scintillante, luminoso… La metafora della luce è stata quindi uno strumento utilizzato per costruire la musica classica. È partendo da questa considerazione che ho pensato che, al di là del suo valore più evidente che si lega all’idea di speranza e rinascita, ci fosse proprio una storia della musica che noi possiamo ripercorrere attraverso essa. Questa edizione presta molta attenzione ai grandi capolavori in un aspetto divulgativo, di passione per la musica classica.
Questo è evidente in diversi concerti, ad esempio in quelli dell’ensemble finlandese Meta4 Quartet, intitolati proprio Breve storia del quartetto d’archi.
La musica da camera ha bisogno di nuovo slancio e abbiamo costruito un programma insolito – ma che alla fine ha convinto anche i musicisti – estraendo un movimento da diversi brani significativi. Il Meta4 Quartet in due concerti diversi tra loro ci farà ascoltare quindi l’evoluzione della musica per quartetto d’archi da quando la formazione è stata codificata, con Boccherini e Haydn, passando per l’Ottocento di Schumann e Brahms, fino alle invenzioni più moderne di Kaja Saariaho e John Adams.
I programmi dei concerti sono vari e curiosi, anche con accostamenti interessanti.
Ci piaceva l’idea di mettere insieme varie culture, come nella serata “Luci brasiliane” in cui l’Europa di Beethoven si confronta con ritmi, colori e strumenti sudamericani. Oppure di accostare autori lontani dal punto di vista temporale ma che hanno un forte ed esplicito legame, come nel caso di John Adams, compositore americano vivente, che nel suo Absolute Jest per quartetto d’archi e orchestra prende come spunti di partenza alcuni frammenti beethoveniani e per questo nella stessa serata viene eseguita anche la Sinfonia n. 9 del compositore tedesco. O ancora abbiamo voluto celebrare anche l’assenza di luce, la notte amica degli amanti e così cara alla poesia barocca, in un concerto intitolato per l’appunto “Tenebre”.
Guardando invece gli ospiti, sono tanti e di grande importanza. Per citarne alcuni: la pianista Maria João Pires (si esibirà con l’Orchestra Giovanile dello Stato di Bahia nella serata “Luci brasiliane”), Barbara Hannigan (in veste di direttrice e cantante insieme) con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il direttore Ton Koopman, il tenore inglese Ian Bostridge, il violista tedesco Nils Mönkemeyer, la Mahler Chamber Orchestra…
Siamo orgogliosi del fatto che MITO sia ormai una realtà di pregio anche nel panorama internazionale e che possa invitare tante eccellenze della musica, mantenendo relazioni con artisti di tutto il mondo. La sua reputazione cresce anno dopo anno, grazie anche all’ottimo lavoro del precedente direttore artistico Enzo Restagno. Ora è un festival tematico, completamente dedicato alla musica classica e che diventa una realtà sempre più precisa. Quest’anno poi MITO SettembreMusica è stato riconosciuto dal Parlamento Italiano – su proposta del Ministro Dario Franceschini – “Festival di assoluto prestigio internazionale” e ha dunque ricevuto un importante finanziamento straordinario di un milione di euro.
Un riconoscimento importante, specie dopo gli ultimi due anni. Come avete vissuto questo passaggio?
Dalla pandemia la situazione è completamente mutata. Ricordiamo che il pubblico doveva mantenere il distanziamento e quindi la capienza delle sale era crollata, al punto che nel primo anno pandemico a Torino abbiamo ripetuto i concerti sempre due volte. Poi c’era il problema di mantenere il distanziamento anche sul palcoscenico, il che rendeva impossibile ascoltare grandi orchestre. In più non si poteva viaggiare, perciò non abbiamo potuto ospitare tutti gli artisti stranieri che abitualmente frequentavano il Festival. L’edizione del 2020 ha quindi visto la presenza di soli artisti italiani, il che ovviamente è stato un piacere per noi, ma adesso vediamo con gioia il ritorno di tutto ciò che ha caratterizzato la storia di MITO.
E riguardo l’affluenza di pubblico?
Questo è un grande punto interrogativo. Ho parlato con altri colleghi di tanti paesi del mondo e dobbiamo riconoscere che non si è tornati alla vita del passato. Non so se ha notato ma anche le sale cinematografiche sono poco affollate… Il modo di consumare cultura dal vivo è sicuramente cambiato e io credo che sia ancora in mutamento. Gli organizzatori – non solo musicali ma anche teatrali – stanno vivendo questa fase con preoccupazione e con prudenza. L’offerta quindi è generalmente un po’ trattenuta. Ci troviamo di fronte un panorama diverso in cui possiamo trovare gli stessi servizi di una volta ma c’è più mistero riguardo i numeri di spettatori. Questo lo scopriremo insieme nei prossimi concerti: il nostro Festival sarà probabilmente un’interessante cartina di tornasole.
Anche quest’anno i concerti saranno introdotti da critici musicali…
Le introduzioni ci sono da quando sono stato nominato direttore artistico (2016 ndr.) poiché le ritengo molto importanti. In questo mestiere bisogna sempre inventarsi qualcosa di stupefacente e divertente in modo che i frequentatori abituali delle stagioni concertistiche siano interessati ad entrare in contatto anche con altre manifestazioni. Per far questo, e dare un ampio respiro alla cultura, abbiamo dunque sempre voluto prezzi popolari e programmi inusuali. Tutto questo secondo me va spiegato. Poiché la programmazione è così specifica e così particolare vogliamo aiutare gli spettatori a comprenderne le ragioni. Lo facciamo per accompagnarli nel percorso di ascolto, in modo che anche l’emozione sia maggiore.
Inoltre avete posto attenzione nei confronti del pubblico più giovane, al quale avete dedicato due composizioni inedite: Animalia di Carlo Boccadoro e Il piccolo Franz e il pifferaio magico di Federico Gon.
Ritengo che i bambini siano una categoria di cittadini che come le altre ha diritto alla musica e per cui più si inventa meglio è. Certo, è giusto che capolavori come Il carnevale degli animali di Saint-Saëns e Pierino e il lupo di Prokof’ev siano eseguiti ancora una volta, ma è pur vero che il mondo va avanti e che c’è anche una musica di oggi che ci può rappresentare.
A tal proposito, in quanto compositore sente l’esigenza di divulgare la nuova musica?
Sì anche se non è sempre facile. Noi usciamo da quasi un secolo di musica contemporanea difficile da ascoltare, poiché frutto di un’avanguardia che ha scelto strade non altrettanto condivise dal pubblico e che in più non voleva avere a che fare con la musica del passato.
Facendo questo mestiere so che esistono tanti compositori in giro per il mondo che oggi scrivono musica eccitante, bella, divertente, appagante, sorprendente, esattamente come lo era la musica di Mozart o di Mahler. Questa è musica che vale la pena ascoltare, per cui io, con grande curiosità e dedizione, ascolto tutti i giorni più nuove musiche possibili.
Le stesse che poi vediamo proposte nella vostra programmazione.
Cerco di rimanere aggiornato su tutto ciò che viene scritto di nuovo e da lì attingo cercando poi i brani da proporre a MITO. Per questo poi ci sono tante prime esecuzioni italiane: perché vado ad ascoltare i brani che nascono in tutto il mondo e che secondo me possono piacerci e farci divertire. Devo dire che dal 2016 non mi è mai successo che qualche ascoltatore protestasse per un brano, anzi mi è capitato spesso di ricevere ringraziamenti, specialmente da parte di chi non era abituato ad ascoltare compositori viventi e che mi ha detto: “Non immaginavo che ci fosse qualcuno che oggi scrive una musica così bella!”. Alla fine la gioia di un direttore artistico è quella di divulgare sempre e con tanta cura. Siamo un po’ come pionieri che vanno in territori che poi magari verranno dissodati e coltivati da altri.
C’è tanta passione e coraggio anche nella sua ultima composizione, Un mondo nuovo, dedicata all’Europa in tempi di guerra.
È una sinfonia che ho pensato di scrivere quando mi sono reso conto che fare donazioni non era la cosa più intensa ed efficace che potessi fare. Mi sono chiesto se i musicisti nel mondo avessero il dovere morale di mettersi in gioco e di farlo adesso. Ho provato a parlarne ad alcuni direttori d’orchestra e nel giro di pochi giorni ho ricevuto risposta da dodici orchestre di tanti paesi diversi che mi sostenevano, portando ad una commissione congiunta per questo brano. Il mio librettista Piero Bodrato ha scritto parole meravigliose per l’ultimo movimento, che celebrano il gesto stesso del cantare come attività umana, comune a ogni popolo. La partecipazione così sentita mi ha fatto capire che siamo in tanti ad aver sentito l’esigenza di rispondere alla violenza con la musica. Nel mio piccolo ho provato ad inventare uno specchio positivo di questa situazione, perché voglio pensare ad un mondo di armonia, e la bellezza deve servire anche per ispirarci a costruire il domani.
In copertina: Nicola Campogrande ( foto di Lorenza Daverio)