Milano Musica titola “Azioni fuggitive” l’edizione 2023, si affranca definitivamente dal passato e si concentra con sempre maggiore intensità sui nuovi suoni. Hosokawa e Zimmermann, Enno Poppe e Justé Janulité, l’italiana Giulia Lorusso: i compositori dei primi concerti ascoltati ad Hangar Bicocca e alla Scala suggeriscono che il festival di contemporanea punti a un bersaglio molto alto, il futuro della musica
Se è ancora vero che il mattino garantisce per la giornata, si rischia che non ci sia un appuntamento da mancare a Milano Musica. I due primi concerti erano degni (cosa rara) di quel che promette il tema di stagione – Azioni fuggitive -, uno dei più “casual” nella vita di una rassegna che da due anni ha superato i trenta.
Venerdì 5 maggio una piccola folla si è fiondata in Pirelli HangarBicocca sotto lo sguardo da sfinge dei Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer, dove si può stare anche ore senza ascoltare niente. Ogni luogo ha la musica che merita. L’Hangar Bicocca, che in esterni ti accoglie con la più grande scultura in ferro che il genio minimal-musical-geometrico di Fausto Melotti abbia creato, ne chiede di eccentrica. Da quando ha conquistato questo spazio, cui il pubblico si affida a occhi chiusi, Milano Musica non ha quasi mai sbagliato nell’ambientarvi le proposte più “giuste”, ovvero le più disallineate rispetto alle linee maestre. La prima di quest’anno lo era più del solito, senza ricorrere al richiamo (anche esteriore) delle percussioni. Al contrario, ambientare in quell’enorme galleria d’arte ch’era la ex Pirelli quattro quartetti d’archi combinati insieme, era l’esatto contrario dell’esibizione per clamore.
Foto Studio Hanninen
Tre pezzi in programma: Circle for a Square di Justé Janulité, Sedimenti di Giulia Lorusso e Wald di Enno Poppe. I quartetti erano di giovanissimi che vengono dai quattro angoli dell’Europa: Cibele dal Portogallo, Dianthus da Bruxelles, Eridàno da Torino, Kandinsky da Vienna. Tutti in sintonia, sotto la guida di Luca Antignani, con i CV dei tre autori: Justé è lituana, classe 1982; Giulia Lorusso è una trentatreenne allieva, a Milano, di Alessandro Solbiati; Enno Poppe è un solido tedesco (1969) al quale pochi o nessuno in Italia si è finora dedicato. Tre generazioni giovani rispetto a ogni standard. Due donne e un maschietto senza bisogno di pensarci su. Musiche tutte di carattere e personalità indiscutibili.
Circle for a Square è una immersione nel Suono calibrata in combinazioni di minuscoli congegni timbrici; l’ascolto è sfidato ai limiti della percezione, ma non si corre il rischio di perdersi. Sedimenti è un più breve ma non meno denso corteggiamento della materia, con una citazione tematica (dalla Serenata per archi op. 48 di Čaikovskij) che s’insinua come un fantasma. Wald, come dice il titolo senza bluffare, ti tira dentro una foresta di sonorità nelle quali emerge una speciale passione di Poppe per i glissati parossistici e paradossali, tra rumorismo e umorismo (scusate, mi è venuto così).
Insomma: ventisei più tredici più ventisei minuti di musica che non tradisce mai quella tensione astratta che, senza György Ligeti, Steve Reich e Gérard Grisey non esisterebbe. E dei quali si dimostra degna.
Dire che i tre pezzi di serata sono pensati e scritti per quattro quartetti d’archi è una ovvietà ma anche un inganno: nessuno colloca i gruppi nello spazio, come si potrebbe immaginare in un Hangar, ma li allinea in pedana e li fonde come un unico organico di sedici archi, grande e flessibile. Il che dimostra un’altra verità che si fa strada in questi anni: il violino, da solo e in ogni combinazione (quattro archi per quattro sono un punto estremo ma non invalicabile) è uno degli strumenti che la musica contemporanea considera tra i più flessibili e adatti a qualunque indagine.
Foto Studio Hanninen/Courtesy Pirelli HangarBicocca
Questa verità l’ha confermata il 7 maggio anche il secondo concerto di Milano Musica, nel contesto diametralmente opposto: la Scala. (Fra i due estremi della Sala del Piermarini e di Pirelli HangarBicocca stanno tutti gli altri che, in città, Milano Musica ha assorbito).
Alle 19, nel Foyer Toscanini, un’amplificazione del violino, il violoncello del bravissimo Michele Marco Rossi, ha toccato tre diverse intensità del suono con Sen ll di Toshio Hosokawa, Zwölf di Enno Poppe e Kottos di Iannis Xenakis. Un’ora dopo, in sala grande, due pezzi di Bernd Alois Zimmermann (1918-1970) ci hanno fatto riflettere sul destino di un autore confinato a una marginalità che addolora: Photoptosis, con le tormentate dilatazioni di una grande orchestra esplosa, Stille und Umkehr con la smaterializzazione di un‘orchestra in qualcosa che somiglia a un requiem, scritto nel 1970, pochi mesi prima di togliersi la vita.
Ancora Enno Poppe, una costante di inizio festival, ha portato in prima esecuzione italiana il suo Schnur, concerto per solista (Francesco D’Orazio, formidabile) scritto nel 2019 come celebrazione del violino “da sotto in su”, forzato in quel che di più estremo, scomodo e antigrazioso (“anedonico” avrebbe detto Bortolotto) si possa immaginare con corde e archetto. Finale ancora una volta in carattere con Jonchaies di Xenakis, pezzo del 1977 che pure mantiene quel che promette: una massa formicolante di suoni come canne di giuncaie, ma governata con cervello analitico cinquant’anni prima dell’intelligenza artificiale.
Merita grande rispetto Michele Gamba, che in concertazione e dal podio ha fatto sì che nelle fittissime reti dei quattro brani si districasse con chiarezza un’Orchestra Nazionale della Rai che non ha sottovalutato l’impegno.
Foto Studio Hanninen
Il percorso di Milano Musica è appena iniziato. Nei 21 appuntamenti fino a sabato 10 giugno è difficile trovare qualcosa per cui non valga la pena di lasciare Netflix. Domani, 11 maggio, al Meet Digital Culture Center (alias ex Oberdan) si proietta Metropolis di Fritz Lang (1927) con una colonna sonora elettroacustica dal vivo del rinomato Edison Studio. Lunedì 15 maggio al Teatro Elfo Puccini torna un cavallo rampante di Milano Musica, Les Percussions de Strasbourg, già protagonista di cose egregie in Pirelli HangarBicocca. Giovedì 18 maggio vale la pena di andare all’Auditorium di Largo Mahler per ascoltare l’Orchestra Sinfonica di Milano nella prima esecuzione “aggiornata” di Ausstrahlung, clamorosa pagina di Bruno Maderna “per voce femminile, flauto e oboe obbligati, grande orchestra e nastro magnetico su testi sacri e poetici indiani e persiani”. Brano che può anche infilare in un cassetto più basso la seguente Also Sprach Zarathustra di Strauss. Lunedi 22 maggio si torna all’Elfo Puccini con Battistelli, Steve Reich, Vinko Globokar e Francesco Filidei, che al Suono combinano il Gesto. Il 24 maggio, ancora al Meet Digital Culture Center, il Syntax Ensemble combina una Trilogia dei folletti di Maurilio Cacciatore (1981), a una video installazione di Andrew Quinn. Il 26, 27 e 28 maggio ci si può chiudere tre giorni alla Fabbrica del Vapore ascoltando musica da camera sperimentale fino a che, domenica 28 alle 14.30, dal Piazzale, sotto la guida di Simone Beneventi di ZAUM_Percussion, 111 ciclisti (centoundici) pedaleranno Eine Brise, “azione fuggitiva“ (ecco il titolo) che Mauricio Kagel inventò nel 1996 con la sua solita voglia di prendere in giro tutti, per primo se stesso. Il 31 maggio, alla Scala il SWR Vokalensemble esegue diversi pezzi del maestro cui si ricollega tanta musica eseguita quest’anno, Ligeti. Il 6 giugno nella Sala delle Otto Colonne di Palazzo Reale si riascolta Sciarrino, insieme a Sofia Gubaidulina e Stefano Scodanibbio. Il finale del 10 giugno in Conservatorio si può mancare solo per gravi motivi di salute o personali: si dà in forma di concerto Der Kaiser von Atlantis (il re di Atlantide), opera scritta nel 1944 da Viktor Ullmann nell’ultimo luogo in cui potesse nascere un prodotto libero dell’ingegno: la prigione di Terezin.
Parliamo di tanta musica in fuga dai luoghi comuni.
Foto di copertina: Studio Hanninen/Courtesy Pirelli HangarBicocca