Modernità dissidenti: le avanguardie artistiche nei paesi dell’Est Europa

In Arte

Quanti conoscono le esperienze delle avanguardie nate e cresciute nei paesi dell’ex Jugoslavia e del centro Europa durante la Guerra Fredda, tra aperture sperimentali e repressioni? Eppure Mangelos non starebbe male a fianco di Piero Manzoni e Vanista potrebbe dialogare con Lucio Fontana. Una bella mostra presso FM Centro per l’Arte Contemporanea racconta la “Modernità non allineata” degli artisti dell’Est, riunendo alcuni dei pezzi più importanti della collezione Marinko Sudač.

Dopo il successo ottenuto con la mostra inaugurale, L’Inarchiviabile/The Unarchivable, dedicata ad una riflessione sull’arte italiana degli anni Settanta, FM Centro per l’Arte Contemporanea presenta Non-Aligned Modernity/Modernità non allineata, esposizione che si propone di rileggere la scena artistica dello “spazio artistico jugoslavo” e del centro Europa durante la seconda metà del Novecento. La mostra, curata da Marco Scotini, ricostruisce le trame di un capitolo della storia dell’arte molto affascinante e ancora tutto da scrivere perché considerato fino ad oggi come episodio marginale.

Si parte dal 1948 quando il Maresciallo Tito rompe la sua alleanza con Stalin e la Repubblica Socialista Jugoslava viene espulsa dal Cominform. La decisione di non allinearsi al blocco orientale genera delle rilevanti conseguenze anche da un punto di vista della politica delle arti: la Jugoslavia rinuncia alla rappresentazione realista socialista riabilitando linguaggi artistici modernisti.

Una sala della mostra con i Rockets di Stano Filko

Nonostante Tito fosse insofferente all’arte astratta, EXAT51 (Experimental atelier), gruppo astratto composto da pittori, designers e architetti, durante gli anni Cinquanta diventa rappresentante della Jugoslavia in manifestazioni internazionali, dando vita ad un vero e proprio linguaggio artistico nazionale.

EXAT è il gruppo della “ricostruzione”, viene fondato a Zagabria nel 1951 da Aleksandar Srnec, Ivan Picelj e Božidar Rašica e, sul modello della Bauhaus e del costruttivismo, si propone di dar vita ad una “sintesi” tra pittura, architettura e design. L’estetica di EXAT ha dunque una matrice “occidentale”, attardata su modelli di venti, trenta anni prima, tuttavia l’attività sperimentale del gruppo getterà le basi per la nascita, dieci anni più tardi, del movimento di ricerca ottico cinetico Nove tendencije. Nella prima sala della mostra, i dipinti di Srnec e Picelj sono stati allestiti ricreando lo storico display dell’esposizione tenutasi nel 1953 presso la Società degli architetti di Zagabria; i dipinti sono sostenuti da paline di albiniana memoria che permettono di leggere anche il verso.

Vanista e Kozaric
Vanista e Kozaric

La seconda sala è dedicata a Gorgona, gruppo che come EXAT, anche se in modo più prorompente, rientra nei fenomeni artistici più radicali dello spazio artistico jugoslavo, identificabili, secondo la definizione coniata dallo storico e critico d’arte serbo Ješa Denegri, come: “seconda linea”. Si tratta di una corrente che prende le mosse dalle avanguardie storiche e che si differenzia in modo sostanziale dal più morbido “estetismo Socialista”. Gorgona nasce a Zagabria nel 1959 ed è composta da Josip Vanista, pittore dalla minimalista linea argentea, dallo scultore e pittore Ivan Kožarić, da Julije Knifer, noto per i suoi Meandri, e dai teorici Matko Meštrović, uno dei padri di Nuove Tendenze, e Dimitrije Bašičević, che ricorre allo pseudonimo “Mangelos” quando veste i panni d’artista.

Oltre alla loro personale attività, gli artisti del gruppo realizzano opere collettive che si distinguono per un precocissimo carattere concettuale. Gli artisti “gorgoniani” non avevano una rilevante esposizione mediatica e solo di recente la loro importanza e il loro peso all’interno del circuito artistico degli anni Sessanta è stato rivalutato. I visitatori della mostra resteranno stupiti dal vedere le corrispondenze di questi artisti e teorici jugoslavi con alcuni dei grandi nomi dell’arte italiana: da Piero Manzoni a Lucio Fontana da Enzo Mari a Germano Celant. Erano effettivamente molto stretti i legami tra l’avanguardia artistica jugoslava e quella italiana; Venezia rappresentava geograficamente il perfetto punto d’incontro per questi due mondi che ai nostri occhi sembrano così distanti ma che nei fatti non lo erano affatto.

Mangelos, Missing genious, 1971-1977
Mangelos, Missing genious, 1971-1977

Lasciandoci alle spalle il gruppo Gorgona ci trasferiamo in Slovenia, a Lubiana, patria del collettivo concettuale OHO, attivo dal 1962 al 1971. Il nome del gruppo nasce dalla crasi tra le parole oko (occhio) e uho (orecchio) ed evoca la volontà di questi artisti di creare una fusione sensoriale che permetta di guardare agli oggetti in un modo nuovo, una teoria artistica vicina alla filosofia del Reismo. Questa volontà di cambiamento e di trasformazione si concretizza in performances di poesia concreta e happenings urbani, documentati da alcuni video.

L’attività di OHO dura dieci anni, anni di intensa ricerca che portano gli artisti del collettivo a sperimentare pratiche vicine a Fluxus, alla body art, all’Arte Povera e alla Land art. Curiosamente l’avventura finisce nel momento di massimo successo, nel 1970, quando OHO partecipa alla mostra Information al MoMA di New York: una parte del gruppo, guidata da Marko Pogačnik, per restare fedele all’originale vocazione anti-establishment, decide di non partecipare e si ritira in una comune, la Šempas family.

Gruppo Gorgona
Gruppo Gorgona

Il percorso di visita ci riporta in Croazia, più precisamente a Zagabria, straordinario polo di arte radicale, dove nel 1975 si forma il Gruppo dei Sei Autori. Nella sala dedicata al gruppo dominano le scritte “Ovo nije moj svijet” (“Questo non è il mio mondo”) tracciate da Željko Jerman su di un enorme rullo di carta fotografica esposto nel 1975 sulla facciata del Centro culturale studentesco di Belgrado e “ETO” (“ECCO”) opera pittorica di Boris Demur adagiata al suolo. Lungo le pareti della sala troviamo i collages di Tomislav Gotovac, gli stranianti lavori concettuali di Goran Trbulijak, il rosso provocatorio di Mladen Stilinović e ciò che resta di alcune performances di Vlado Martek.

La successiva sala è dedicata alla scena artistica serba, in particolare a BOSCH+BOSCH, gruppo nato nel 1969 a Subotica che lavorava con differenti media su progetti di arte ambientale, musicale e mail art. Grazie all’attività svolta dal Centro Culturale per Studenti a Belgrado si sviluppa un movimento non ufficiale composto da artisti emergenti, un collettivo informale che radicalizzando alcuni aspetti della performance sancisce nuovi canoni estetici fino ad arrivare all’allargamento della nozione di “opera”. Tra questi giovani spicca il lavoro di una giovanissima Marina Abramović.

Nella sala appena descritta varchiamo un’ideale linea di confine, quella tra la Jugoslavia e gli Stati centroeuropei allineati con l’Urss, una cortina di ferro tracciata dai Rockets di Stano Filko che ci aprono le porte verso Bratislava.

Julius Koller, Universal fantastic orientation, 1970
Julius Koller, Universal fantastic orientation, 1970

Le ultime sale dell’esposizione ci parlano di Stati come Cecoslovacchia, Ungheria nei quali, a differenza della Jugoslavia, gli artisti erano sottoposti al controllo della polizia segreta e a una forte censura. La sala dedicata alla Slovacchia è dominata da due giganti come Stano Filko ed Julius Koller. Questi due artisti hanno entrambi fronteggiato una censura strettissima ma in modi diversi hanno criticato il sistema politico comunista. Durante la sua carriera Filko ha sperimentato ogni tipo di pratica artistica e pur lavorando alla costruzione di una propria mitologia privata ha sempre portato avanti un discorso di impegno e di critica verso il repressivo regime comunista. Diversamente, Julius Koller reagisce alla Primavera di Praga in modo surreale con gli anti-happening U.F.O e con la sua famosa serie sul punto interrogativo e con ricerche, senza significato, sulla pallina da ping-pong.

In Stati come Cecoslovacchia, Ungheria e Polonia l’attività degli artisti diventa una sorta di resistenza sovversiva: negata la possibilità di esporre in spazi pubblici, essi si riuniscono in spazi alternativi o in gallerie indipendenti (come NET e Aumulatory 2 a Poznan e PERMAFO a Wroclaw), si tengono in contatto tramite mail-art e creano network segreti. Come la Cecoslovacchia anche l’Ungheria fu occupata dai sovietici: la libertà creativa fu messa a tacere e il realismo socialista fu scelto come unico canone. Tuttavia anche in Ungheria si formò una scena artistica “eversiva” i cui più forti esponenti erano Tamàs Szentjòby e Gàbor Altoray. Di particolare interesse è anche il lavoro concettuale, dai risvolti più intimi, svolto da Dora Maurer sul concetto di tempo-azione-morte.

Zdzidlaw Sosnowski, Goalkeeper and football, 1975
Zdzidlaw Sosnowski, Goalkeeper and football, 1975

Un’ultima riflessione spetta alla Polonia, che rispetto a Cecoslovacchia e Ungheria viveva una situazione differente, probabilmente più facilmente assimilabile a quella jugoslava: lo Stato, se non innanzi a casi di protesta eclatanti, non interferiva sulla produzione degli artisti. In questa “Prigione di velluto” spiccano i lavori fotografici di protesta femminista, ma dai diversi livelli di lettura, di Natalia LL e la serie di fotografie sul tema gender “Portiere e calciatore” di Zdzislaw Sosnowski.

Non-Aligned Modernity/Modernità non allineata è una mostra profondamente ispirante: viene tematizzato uno scontro tra arte e ideologia, tra modernismo e socialismo, il tutto in un contesto geopolitico eccezionale. Vengono riportate alla luce, o meglio, viene data la giusta visibilità, ad affascinanti realtà rimaste troppo a lungo e per differenti ragioni ignorate. Vi basterà una passeggiata tra le sale della mostra per rendervi conto del valore di questi artisti e di conseguenza della vulnerabilità di alcuni modelli su cui si fonda la storia dell’arte. Per queste e altre ragioni, nonostante la grande abbuffata – più di 800 opere e più di 120 artisti – questa mostra agisce da input e potrà creare nuove letture e idee. Io ho in testa da qualche giorno l’idea e la curiosità di poter vedere rivivere in una mostra i legami esistenti tra artisti italiani e jugoslavi: Piero Manzoni e Mangelos, Lucio Fontana e Vanista…

E a voi che idee sono venute in mente?

 

Modernità non allineata, A cura di Marco Scotini, FM Centro per l’arte contemporanea, fino al 23 dicembre.

Immagine di copertina: Gabor Attolai, Negative Star, 1970

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