L’attrice-regista-modella Maiwenne Le Besco racconta una storia che pare la sua vita in “Mon Roi”: col seduttivo Cassel, Emmanuelle Bercot e la sorella Islid
“Sei grande, grande, grande, come te sei grande solamente tu”: ve la ricordate questa vecchia canzone di Mina? Soprattutto la strofa in cui le povere amiche tranquille, quelle che “ricevono regali e rose rosse per il loro compleanno” vengono duramente stigmatizzate con queste sferzanti parole: “Non hanno mai problemi e son convinte che la vita è tutta lì. Invece no, la vita è quella che tu dai a me, in guerra tutti i giorni, sono viva, sono come piace a te”. Generazioni di femministe si sono tristemente interrogate sul perché le donne abbiano così tanto bisogno di farsi maltrattare dal bel tenebroso di turno, preferibilmente egoista, prepotente e capriccioso, e non hanno mai trovato risposte convincenti.
Adesso è la volta di Maïween Le Besco, attrice, regista e top model, già vincitrice del premio della giuria al festival di Cannes 2011 con il precedente Polisse, storia senza fronzoli di una brigata della polizia criminale che si occupa di reati sui minori. Un argomento che lei conosce bene, vista la famiglia disfunzionale in cui è cresciuta insieme alla sorella minore Isild, anche lei attrice e soprattutto sceneggiatrice, in questo film nei panni di una modella bellissima e autodistruttiva.
Proprio il ruolo che Maïween si è ritrovata a recitare dal vero, sul palcoscenico della vita più di una volta, per esempio nel 1997, quando stava recitando sul set di Il quinto elemento e il marito Luc Besson pensò bene di lasciarla per Milla Jovovich, e lei sprofondò nella disperazione e nella bulimia, ingrassando venticinque chili in poche settimane.
Certo, non è direttamente la sua storia quella che ora ha portato sugli schermi, ma è difficile non intravedere in trasparenza gli elementi autobiografici disseminati qua e là, a partire dall’ossessione per le modelle che contraddistingue il protagonista maschile (un Vincent Cassel mai così fascinoso e seducente).
Non che la trama di questo film sia così originale, anzi. Raccontarla è fin troppo semplice. Tony (Emmanuelle Bercot) si è distrutta un ginocchio cadendo malamente dagli sci e deve passare qualche mese in un centro di riabilitazione. Fra una fitta di dolore e un momento di rabbia, tanta fatica e lunghe ore di sconforto, ha tutto il tempo di ripensare alla sua vita e soprattutto alla sua relazione con Georgio (Vincent Cassel): dieci anni tremendi e meravigliosi, all’insegna della passione più intensa e dell’amore più distruttivo. Dieci anni passati a prendersi e a lasciarsi, a inseguire e a fuggire, ma anche a crescere un figlio, cercare di lavorare, semplicemente sopravvivere in attesa di una (forse) impossibile maturità.
La struttura a flashback scelta da Maïween allontana e raffredda l’incandescente sostanza amorosa che rappresenta il cuore pulsante del film e impedisce ogni facile scivolata verso il baratro del sentimentalismo. Ma questo non significa certo che le ragioni della passione vengano tenute in poco conto. Semplicemente, il tentativo è quello di calarsi dentro il gorgo dell’amore e del dolore senza giudicare, ma anche senza rinunciare alla specificità dello sguardo femminile, fragile e graffiante, capace di grande cecità e di incredibile forza. Soprattutto quando alla fine decidi che sei di nuovo capace di camminare, anche da sola. Soprattutto da sola.