Jodie Foster dirige con ottima mano un thriller dai forti risvolti economico-politici. Giovanotto rovinato dagli incauti consigli di un pittoresco anchorman finanziario, fa irruzione “in diretta” minacciando di ucciderlo. E grazie a tutto ciò uscirà allo scoperto una truffa internazionale
Ancora una volta, tutto nasce, si svolge, finisce, e purtroppo muore (il personaggio chiave) in tv. In un’adrenalinica “diretta” che corrisponde grosso modo all’ora e 40 del film. Ma in Money Monster, anche lui passato con successo a Cannes, quarta regia al cinema di Jodie Foster, a cinque anni da Mr. Beaver (in mezzo c’è stato anche un episodio di House of Cards), sicuramente la migliore, perfino Hollywood, solitamente livida quando si occupa della principale concorrente, rende l’onore delle armi al piccolo schermo. Cioè, colpo di scena, la tv si riscatta dalle consuete bassezze morali e apre gli occhi al suo pubblico. Anche se prima l’ha un po’ truffato, e il percorso per arrivarci sarà piuttosto tortuoso.
Si parte dalla più trash delle trasmissioni, Money Monster appunto, dove un incredibile show man dalle presunte competenze economiche (George Clooney, assolutamente in palla) alterna consigli per gli acquisti finanziari, snocciolati in modo a dir poco pop, e sketch di danza con avvenenti ballerine nere, vestito da pugile o con cilindro e catena al collo color giallo dollaro. In regia la sua polemica compagna Julia Roberts (“Qui non facciamo giornalismo sporco. Non facciamo giornalismo. Punto”) super-professionista dell’arte catodica caduta, come si dice, un po’ in basso (dal punto di vista del prodotto), conduce le danze con energia: finché nello studio irrompe un giovanotto dall’aria piuttosto sconvolta, che brandisce una pistola e costringe l’eco-anchorman a indossare un giubbetto ripieno di esplosivo. Di cui, ovviamente, ha in mano il detonatore.
Perché è lì? Come molti altri investitori spinti da George, ha acquistato azioni di una società che di colpo ha perso tutto, e i suoi 60mila dollari investiti erano gli unici che aveva. Vi ricorda nulla, in zona Etruria? Solo che lui, per capire cos’è successo, non intende rivolgersi, in modi pacati, a un legale. Vuole sapere, immediatamente, la verità su questo crack, e basta: se non succederà, trasmissione e studio salteranno in aria. E non è una metafora.
Inutile dire che gli ascolti del programma s’impennano, tutti nei bar e nelle strade sono incollati alla tv e parteggiano per il giovane Kyle, moderno Robin Hood (Jack O’Connell, visto in ’71, bellissimo film sull’Ira nordirlandese) e che l’azione di certo non manca. La polizia evacua il palazzo, mette in salvo tecnici e abitanti, tenta un’irruzione, ma fa più male che bene. Perché il tema vero è che il lontano Ceo dell’incriminata società, che ha dato la colpa del crack a un algoritmo informatico, in realtà sta facendo maneggi innominabili in giro per il mondo, proprio con quei soldi che ora mancano ai risparmiatori. Quando finalmente lo rintracciano, sarà costretto a confessare (in diretta tv, of course) che il suo è un gioco sporco, molto sporco. Non risparmiandosi comunque l’ormai classico: “ma finché vi facevo guadagnare il 18% all’anno con le mie azioni, andava tutto bene”. Anche questa l’abbiamo sentita spesso, pure dalla nostre parti, e onestamente non sempre a sproposito.