Premiato con la Camera d’Or per il miglior esordio al Festival di Cannes 2017, “Jeune femme” della lionese Léonor Seraille è un bel percorso di emancipazione e scoperta della realtà. Laetizia Dosch, nelle strade di una Parigi triste, incarna con candore nevrotico, prima insopportabile, poi energetico, il ruolo di una donna che di colpo prende in mano la sua esistenza, reinventandola per sopravvivere
Léonor Seraille, giovane regista di Lione, si distingue con il suo primo lungometraggio Jeune Femme, in italiano Montparnasse femminile singolare, nel quale denuncia la precarietà e la solitudine che accompagna oggi i giovani abitanti della “giungla” parigina. Il film, selezionato al Festival di Cannes 2017, ha vinto il premio Camera d’or, destinato alla miglior opera prima.
Ambientato in una capitale francese assai più oscura rispetto a quella romantica e seducente che siamo abituati a vedere sul grande schermo, il film racconta la storia della trentenne Paula (Laetizia Dosh) che, dopo la fine della sua relazione decennale con un ricco fotografo maggiore di lei di vent’anni, si ritrova a doversi rimboccare le maniche per sopravvivere. Ma lei non ha mai lavorato, ha abbandonato gli studi dopo aver conosciuto il suo futuro amante per diventarne la musa, e ora è costretta a fare i conti con la vita reale e col suo essere adulta. Cacciata non solo da lui, ma anche dalla madre che dopo anni di assenza la vede tornare solo nel momento del bisogno, vaga per le vie della città in cerca di ospitalità e alloggi di fortuna, in compagnia di un grosso gatto bianco rubato al suo ex fidanzato.
All’inospitalità della città e ai suoi prezzi inarrivabili, si contrappone l’inaspettata gentilezza di alcune persone che Paula incontra sulla sua strada verso l’emancipazione: una ragazza che la scambia per una sua ex compagna di classe delle elementari, un bodyguard maghrebino di un centro commerciale e una donna che la assume senza referenze come baby-sitter per la figlia, dandole anche una stanza dove dormire. Paula però è impetuosa, passionale, poco in sintonia con la realtà e questo suo temperamento non può che causarle degli intoppi. Nonostante ciò, si riesce a intravedere la redenzione di questa giovane donna, quella del titolo originale, che anche grazie alla sua stravaganza mostra la forza, tutta femminile, alla quale noi, giovani donne, aspiriamo.
Manifesto femminista e portatore di una denuncia dell’ipocrisia di una borghesia che possiede e ostenta magnifici palazzi sulla rive gauche parigina, con tanto di stanze per il personale di servizio, dove però manca il riscaldamento, il film ci mostra una vita semplice e reale, senza fronzoli e troppi drammi. L’esempio di un’esistenza come tante, costretta a misurarsi con la società di oggi e a valorizzare ogni risorsa che possiede.
E Laetizia Dosh è una vera protagonista, non le manca davvero niente. Innanzitutto una bellezza che non si dimentica, data dalla pelle di porcellana, dai capelli ramati e soprattutto dagli occhi eterocromi. I suoi primi piani sono di un’intensità da togliere il fiato e allo stesso modo ogni suo gesto cattura lo spettatore come una magia. All’inizio del film la nostra eroina ci appare quasi insopportabile, nevrotica, senza un progetto di vita e in preda a una crisi isterica, ma nel corso della vicenda non si può che comprenderla e amarla. La fragilità iniziale si trasforma in energia, rimarcata anche dai colori degli abiti pieni di vita della giovane, in contrasto con questa Parigi malinconica e inospitale.
La regista ci propone una trama che potrebbe risultare banale e già vista, ma le espressioni dei personaggi e le loro vicende sono talmente reali che ci si immedesima in loro e nei drammi che li contraddistinguono. Il contesto resta quello tipicamente bohémien dei film francesi, con i suoi bar dalle pareti rosse, le piastrelle dei bagni pubblici, e quel perenne fumo di sigarette che si perde nello smog della metropoli. Il tutto con un delizioso sottofondo jazz.