Candidato a otto statuette (tra cui film, regia, sceneggiatura e due attori, Mahershala Ali e Naomie Harris) il drammatico racconto, firmato dal giovane Barry Jenkins, sull’identità sessuale di Little/ Chiron, ragazzo povero di colore di una Miami degradata, contenderà al favoritissimo e scintillante musical di Chazelle molte statuette importanti. Intanto “Moonlight” ha già vinto il Golden Globe al miglior film. E grazie alla sua forza di penetrazione psicologica, a una pattuglia di attori affiatati e in gran forma, e agli ottimi fondamentali narrativi e registici, si segnala come una rivelazione del 2017
Nell’anno d’oro per attori e registi black, almeno a giudicare da premi e candidature hollywoodiane d’inizio anno, spicca certamente Moonlight di Barry Jenkins, già vincitore del Golden Globe al miglior film e candidato a ben otto Oscar, tra cui quelli per il film, la regia, la sceneggiatura e le prove di due attori non protagonisti, Mahershala Ali e Naomie Harris. Sarà lui soprattutto a sfidare il favoritissimo La La Land, che è in corsa per 14 statuette, tenendo alta la bandiera della creatività nera, insieme a titoli di alto livello come Barriere e Il diritto di contare, autori e attori come Denzel Washington e Viola Davis e la pattuglia dei quattro documentaristi quattro di colore che contenderanno l’Oscar a Fuocoammare di Rosi.
Sorretta da una pattuglia d’attori efficaci, affiatatissimi, e da una scrittura piuttosto classica, lineare nel suo sviluppo diacronico (opera di Jenkins, ma sulla base della piéce teatrale In Moonlight Black Boys Look Blue di Tarell Alvin McCraney) ma quasi mai banale, la storia di Chiron (interpretato da Ashton Sanders e Trevante Rhodes nelle diverse età adulte), Little per i compagni che lo maltrattano per la sua mitezza fin dall’ottima sequenza iniziale del film, è quella di un nero che non vuole e non può ammettere la sua omosessualità. Figlio dei bassifondi di Miami, dove anche se non sei un gangster (e alla fine lui lo diventerà, seguendo le orme del suo affettuoso padre spirituale, Juan, fuoriuscito cubano che gestisce il traffico della droga, cui dà volto Mahershala Ali) devi comunque sottostare alle regole machiste dei fratelli neri, perché altrimenti non vivi. Così, per tutto il film racconterà e si racconterà i suoi rapporti, anche d’affetto, per gli uomini, in un altro modo. Perfino quello con Kevin, l’amico che nella tormentata infanzia l’ha sempre difeso, e che nell’adolescenza, in una struggente notte di luna sulla spiaggia, una qualche emozione fisica gliel’ha anche regalata. Scena raccontata dal film senza reticenze, ma con una delicatezza che raramente s’incontra, soprattutto nel cinema gay, spesso incline nelle scene d’amore a esibire una sorta di sessualità dura, di bandiera, anche un po’ militante.
C’è anche qualche donna nella vita di Chiron: una madre sbandata, Naomie Harris, che l’ha cresciuto da sola tra amanti e sostanze non esattamente benefiche; la compagna di Juan, Paula, interpretata dalla cantante Janelle Monae, che invece un po’ più mamma mostra di sentirsi, nonostante i modi sbarazzini. Ma contano poco e quasi sempre in modo negativo. E poco influiranno sul comportamento di Chiron, bersaglio dei bulli della scuola, nero solitario fra i neri, per carattere e disprezzo dei coetanei, di cui non sopporta gli atteggiamenti aggressivi. Lui non è un duro, ma neanche un debole. E questo Kevin lo apprezza e lo sa. Ma ci vorranno una ventina d’anni e quasi due ore di film per capirlo. E dirlo, dirselo. Perchè Little, poi Chiron e poi Black, non sa chi è, in senso fisico e psicologico, per genere e sensibilità, ma sa benissimo chi non vorrà mai essere. Più che un vero ribelle è un non riconciliato, che però non vuole adeguarsi in primo luogo alla sua sessualità, e forse un po’ anche alla sua razza, almeno per come si esprime e si mostra a Miami, e poi ad Atlanta dove si trasferisce da grande dopo un passaggio, “inevitabile” o quasi, in carcere.
Moonlight è un ritratto introspettivo ma ricco di notazioni sociali, culturali, e comincia dicendo tanto dello sguardo degli altri, certamente più omologati al loro ambiente, su Little. Ma poi, in qualche modo segue la crescita del protagonista, assumendo man mano con più forza il suo punto di vista sulla vita e il mondo, disperato e insopportabile, che lo circonda. Chiron scopre se stesso, il male che ha subito e anche lui, pur controvoglia, finisce per fare, e la forza che richiede, il dolore che provoca. Fino all’ultima parte, in cui vari anni dopo va a ritrovare il suo amico, che ora è un normale cuoco, e pure padre. E basteranno pochi istanti per capire che, come lui, è ancora a suo modo innamorato. Di Black, soprannome che gli ha dato proprio Kevin, l’unico ragazzo che l’abbia mai sfiorato. I due si studiano quasi senza parlarsi, in una complicità molto maschile, cercando di capire chi è cambiato di più interpretando il modello che la vita gli ha proposto, il gangster o la persona perbene, affrontando una richiesta sociale che in qualche modo a entrambi pare impossibile da soddisfare, anche se lo stanno facendo.
Figlio in qualche modo di una certa drammaturgia del Sud, che ha dato tanto lustro alla scena storica americana, Moonlight esibisce però un sostanziale distacco dalla teatralità in favore di inquadrature, ritmo e colori, forse un po’ rallentati a volte, ma assolutamente cinematografici. Merito di Jenkins, regista solo 38enne al suo secondo film, che padroneggia primi piani di forte resa introspettiva e dialoghi ravvicinati che dimostrano una grande capacità di creare tensione anche da situazioni apparentemente tranquille, statiche, e con un uso assolutamente parco, essenziale, dei dialoghi, spesso smozzicati, biascicati. Dallo schermo alla sala tutto questo passa molto, in modo razionale ed emotivo: Jenkins fa sanguinare il cuore dei suoi personaggi, soprattutto Chiron, alla ricerca di un’identità che pur essendo, a volte, a portata di mano, fa di tutto per nascondersi. Perché il mondo non vuole che tu la faccia tua.
Moonlight, di Barry Jenkins, con Alex R. Hibbert, Ashton Sanders, Trevante Rhodes, Mahershala Ali, Naomie Harris, Janelle Monae