Angelo Morbelli, uno dei protagonisti della pittura italiana tra Otto e Novecento, è il protagonista di una bella mostra alla Galleria d’Arte Moderna di Milano.
Una piccola, preziosa mostra in corso alla Galleria d’arte moderna di Milano ci dà lo spunto di approfondire il lavoro di un artista importante che si muove a cavallo dei secoli XIX-XX, Angelo Morbelli.
Artista cruciale che opera in una fase cruciale per il cambiamento, per la svolta che si verifica a fine Ottocento.
Quando Morbelli, a 19 anni, vince la sua prima menzione d’onore all’Accademia di Brera, Claude Monet ha appena presentato il suo Impression, soleil levant. E il percorso di Morbelli è una ricerca continua verso una nuova espressione dell’arte.
Nasce ad Alessandria nel 1853 da “un’agiata, ma onesta!” famiglia originaria del Monferrato. La sua vocazione sarebbe quella di suonare il pianoforte ma una malattia all’udito gli fa preferire gli studi di pittura, che comincia giovanissimo da autodidatta. Nel 1867 si trasferisce a Milano, da una zia, e comincia a frequentare l’Accademia di Brera.
Morbelli si immerge in una Milano che sta attraversando un periodo di vertiginosa trasformazione economica e sociale e che ne fa la città italiana più moderna della Penisola. Nonostante la sua costante frequentazione – soprattutto d’estate – del natio Monferrato, dove la famiglia possiede una tenuta a Colma, l’artista fa sue le problematiche che innervano, nella capitale lombarda, l’arte di quel periodo. Vi si identifica profondamente.
I suoi primi dipinti risentono delle tematiche “veriste” e dopo alcune prove più tradizionali – in mostra un soggetto storico, Goethe morente del 1880, e una Veduta della Galleria Vittorio Emanuele, simbolo della nuova metropoli – Morbelli si concentra sui soggetti cari alla tematica sociale. Le prostitute, i poveri, i disagiati. Ma uno degli effetti più devastanti del nuovo panorama economico, uno dei temi più feroci della nuova industrializzazione è la frantumazione della famiglia, l’atomizzazione dei destini individuali, l’abbandono dei vecchi. Morbelli sarà, praticamente per tutta la vita, il pittore dei “vecchioni”.
Fin dall’inizio della sua carriera ritrae gli ospiti del Pio Albergo Trivulzio, un’istituzione che offre rifugio, nutrimento e conforto ai sempre più numerosi vecchi abbandonati della città. A un certo punto della sua vita occuperà stabilmente uno spazio del Trivulzio per essere a maggior contatto con i suoi soggetti prediletti. Questi quadri forti, emozionanti, bellissimi saranno il tema conduttore della sua poetica e della sua ricerca.
Di alcuni soggetti, dai titoli ispirati a una pietosa ironia, Giorno di festa al luogo Pio Trivulzio, Il Natale dei rimasti, Mi ricordo quand’ero fanciulla, ne farà tantissime versioni, più o meno grandi, alcune monumentali, che farà circolare nelle esposizioni di tutta Europa: Parigi, Londra, Barcellona, Düsseldorf. Giorno di festa al luogo Pio Trivulzio viene inviato all’Esposizione Universale di Parigi ed acquistato dallo Stato francese. Si trova oggi al Musée d’Orsay. È grazie a questi soggetti che raggiunge una fama internazionale.
Calzolai, cocchieri, contadini, cuochi, fabbri, facchini, falegnami, fornai, operai giornalieri, muratori, sarti, sellai, venditori ambulanti, domestiche, lavandaie, operaie diventano i protagonisti dei suoi quadri, come lo sono di migliaia di dipinti che in tutta Europa gli artisti compongono per denunciare i terrificanti effetti della rivoluzione industriale, della creazione delle grandi metropoli, della distruzione del vecchio tessuto familiare e contadino.
Ma Morbelli persegue, anche nella scelta dei suoi soggetti, una ricerca verso nuove strade dell’arte. Ai vecchi, ai paesaggi urbani, cominciano ad accostarsi anche i soggetti più cari agli artisti di fine Ottocento: le fanciulle, le madri, le prostitute anche, le nuove stazioni ferroviarie, i paesaggi di campagna, di montagna.
E la sua ricerca si svolge parallelamente verso un’indagine che riguarda più propriamente lo stile pittorico, le nuove tecniche, l’uso dei colori – solo recentemente sono comparsi i nuovi tubetti ad olio che consentono di dipingere all’aperto, lontano dagli studi e a contatto con la realtà che si vuole riprendere.
La pittura europea dell’epoca si parla molto, si scambia informazioni, metodi, si confronta incessantemente. Grazie alla diffusione di giornali e riviste che le nuove tecniche tipografiche rendono sempre più appetibili e, soprattutto, attraverso i viaggi. Su tutti quello, obbligatorio come lo era stato il viaggio a Roma per i pittori dei secoli passati, a Parigi. Ed è tra Parigi e Londra, che Morbelli visita a più riprese, a partire dalla fine degli anni Ottanta dell’800, che l’artista incontra nuovi stimoli, nuovi suggerimenti.
Fa l’incontro con un uso più spregiudicato e moderno del colore, con una “paletta più ampia”. Sono anni in cui anche i suoi riferimenti italiani vanno incontro allo stesso processo: il suo rapporto controverso con i fratelli de Grubicy, artisti e mercanti, l’amicizia e l’epistolario che intrattiene con Pellizza da Volpedo ne sono testimonianza.
All’inizio degli anni Novanta il frutto di questi viaggi, di questi scambi, di queste frequentazioni si concretizza. Il colore si schiarisce e si scalda. La pennellata si frammenta. Il chiaroscuro, in un certo senso, si radicalizza.
Matura la sua scelta divisionista. E la mostra ce ne rende giustizia esponendo i dipinti in cui la nuova tecnica si esprime più spontaneamente – La lettera, un bellissimo ritratto della moglie, il Giardino alla Colma, Amor Materno, Alba felice tutti realizzati agli inizi degli anni Novanta – ed esponendo anche i soggetti più tradizionali rivisitati con la nuova tecnica come I due inverni del 1903 che appartiene a una serie di 6 dipinti realizzati per la V Esposizione d’Arte di Venezia.
La mostra si chiude con alcuni dei suoi più bei lavori degli ultimi anni: lo stupendo, quasi simbolista – anche nella scelta del trittico – Sogno e realtà (Trittico della Vita) del 1905, il sorprendente, e modernissimo nel taglio pittorico, Il ghiacciaio dei Forni del 1910-12. Ed è verso il simbolismo e una nuova modernità, sintesi di tecnica e soggetto, che si rivolgeva l’arte di Morbelli negli ultimi anni della vita. Prima della polmonite di cui morirà nel 1919.
La mostra, impeccabile, è divisa in sezioni che ci consentono una lettura non rigidamente cronologica in cui, con chiarezza, emerge la sua evoluzione anche tecnica. Dalla Colma a Milano, città d’adozione; A Brera. La formazione e la prima attività; Il pittore dei “vecchioni”; Morbelli e Milano tra tradizione e modernità; Il rifugio della Colma; La figura femminile, tra maternità e prostituzione; Verso il simbolismo.
Perfetta infine è la sede in cui la mostra si svolge: la Galleria d’Arte Moderna. E si consiglia dopo la visita di fare un giro alle collezioni permanenti (gratuito) dove si potrà apprezzare il confronto con i grandi artisti che condivisero, del tutto o in parte, il suo affascinante percorso: Vittore de Grubicy, Tranquillo Cremona, Silvestro Lega, Gaetano Previati, Daniele Ranzoni, Medardo Rosso, Giovanni Segantini e, naturalmente, Pellizza da Volpedo.
Morbelli 1853-1919, a cura di P.aola Zatti, Milano, Galleria d’Arte Moderna, fino al 16 giugno.
Immagine di copertina: Angelo Morbelli, Le guglie del Duomo, 1915-1917, olio su tela, Milano, Palazzo Morando – costume, moda, immagine