Con “I dannati”, applaudito al Festival di Cannes, Roberto Minervini combina la passione della narrazione e lo stile documentario, immergendosi nella Guerra civile americana, prototipo di ogni sanguinoso conflitto. Soldati disperati cercano il modo di sopravvivere, tornare a casa e ritrovare un proprio senso nello stare al mondo. Il film si rivela però un gioco a nascondino dall’esito macabro, in mezzo a una natura indifferente in cui la vita e la morte rimangono strettamente intrecciate
Sembrano giocare a nascondino i soldati protagonisti di questo film, I dannati, come dichiara il titolo del nuovo lavoro di Roberto Minervini. Nel lungo inverno del 1862, nel bel mezzo della guerra di Secessione americana, un drappello di soldati nordisti viene inviato a Ovest, a esplorare e presidiare una gelida e inospitale terra di frontiera. Mandati in avanscoperta, in mezzo al nulla, armati della propria fede alcuni, di pistole e fucili che non sanno neanche bene come maneggiare, o della fiducia nella propria capacità di sopravvivere, nonostante tutto. Ma chi riuscirà davvero a sopravvivere? Nel senso di tornare a casa – ovunque sia tale casa – ma soprattutto nel senso di ritrovare un significato nel proprio stare al mondo. Con o senza un fucile in mano.
È un gioco a nascondino dall’esito macabro, mentre sulla neve, in mezzo a una natura sovranamente indifferente, la vita e la morte sembrano intrecciare balletti onirici. E i soldati incessantemente uccidono e si fanno uccidere, ma intanto continuano a parlare di pace. Chissà se la vedono almeno in sogno, questa pace che nella loro vita probabilmente non troverà mai posto. Chissà se anche loro sognano, come le pecore elettriche. Chissà se nello sguardo dell’eroe, come diceva Bazin a proposito del cinema western, l’America incontra ancora e sempre il suo destino rispecchiandosi nel suo sogno.
Nato a Fermo, nelle Marche, Roberto Minervini ha iniziato a fare cinema negli Stati Uniti ed è ormai alla sesta regia. Fino a Che fare quando il mondo è in fiamme, uscito nel 2018, la sua scelta sembrava precisa: la strada del documentario, spesso innervato di passione politica e sociale ma anche di una forte ambizione narrativa (basti pensare al magnifico Louisiana o a Bassa marea).
Con I dannati spariglia le carte: si tuffa non solo nella fiction ma anche nella ricostruzione storica. E non sceglie un momento qualsiasi, ma la guerra di tutte le guerre, per gli americani: la guerra civile. La prende di petto, non la usa come mero sfondo, anzi! La trasforma nel soggetto del racconto, al centro della scena, e però la scarnifica, toglie ogni orpello, stringe il pugno e coglie l’essenza. Non guerrieri ma poveri disperati, non cowboy ma ragazzini spaventati, i protagonisti di questo film ci parlano a tratti in modo enfatico, eclatantemente sopra le righe, come se avessero bisogno di epica per riuscire a raccontarsi. Di fiction per raccontare la realtà. Però i loro sguardi, le loro paure, i dubbi, gli interrogativi sono talmente vivi e ostinati da bucare lo schermo, o forse addirittura bruciarlo.
Un apologo prezioso e scabro, gelido, potente, struggente. Un grido disperato, capace nonostante tutto di parlare della necessità della pace.
I dannati, di Roberto Minervini, con Jeremiah Knupp, Cuyler Ballenger, René W. Solomon, Noah Carlson, Timothy Carlson