Fino al 1°aprile 2024 sarà aperta al pubblico alle Gallerie d’Italia di Milano la grande mostra “Moroni (1521 –1580). Il ritratto del suo tempo”, a cura di Simone Facchinetti e Arturo Galansino. L’esposizione, la più completa mai realizzata sull’artista, presenta oltre cento opere tra disegni, libri, medaglie, armature e dipinti provenienti dai più prestigiosi musei internazionali. Ed è anche un’occasione unica per approfondirne l’opera accanto a quella dei suoi più illustri contemporanei tra cui Tiziano, Lotto, Veronese e Tintoretto. Un rampollo di provincia vestito di corallo, parafrasando uno dei suoi soggetti più celebri, ma che provinciale non è e, oggi ci è chiaro, non è mai stato.
“Moroni. Il ritratto del suo tempo”, in corso alle Gallerie d’Italia, si distingue per estensione e profondità, incarnando al meglio l’avanzamento della ricerca su Giovan Battista Moroni. Il rigore scientifico del progetto è garantito dalla curatela di Simone Facchinetti e Arturo Galansino, già ideatori di due rassegne dedicate al pittore, avvenute in importanti sedi museali di Londra e New York.
L’esposizione mette in luce l’itinerario artistico di uno dei più singolari ritrattisti del cinquecento italiano, la cui riscoperta critica è avvenuta solo in età moderna. L’imponente allestimento, scrupoloso ma concepito per essere fruibile da un vasto pubblico, si articola in nove sezioni tematiche, impreziosite dalla presenza di importanti opere del rinascimento, tra le quali spicca lo straordinario “Ritratto di Filippo Archinto” di Tiziano. Avvolto dal buio e per metà coperto da una cortina trasparente, l’alto prelato rivolge lo sguardo all’osservatore. Il leggero tendaggio, confine tra dimensioni inconciliabili, ha il potere di imprigionare e di cancellare progressivamente l’individuo. Qui il Vecellio traccia una traiettoria che nessuno dei suoi contemporanei sembra poter seguire, un vero unicum nella storia dell’arte occidentale e fonte d’ispirazione per la celeberrima serie dei papi urlanti di Francis Bacon.
Di Lorenzo Lotto, veneziano attivo a Bergamo e conoscente del Moretto, è visibile in mostra il “Ritratto di giovane gentiluomo”, in cui il modello viene raggiunto in un momento segreto e malinconico. Il suo pallore affiora da una penombra quasi monocroma, carica pero’ di indizi allegorici e narrativi. Gli oggetti sparsi nella scena formano un complesso sistema di allusioni che infonde l’intero quadro di sottintesi psicologici. Per quanto le atmosfere lottesche, magiche e introspettive, influenzino gli esiti della ricerca di Moroni, quest’ultimo sembra voler perseguire un realismo più radicale e meno simbolico. Nei suoi ritratti senza idealizzazioni di sorta, il soggetto viene colto nell’istante in cui perde la rigidità della posa o mentre sta per compiere un’azione, offrendosi nella sua versione più autentica.
La corporeità è rimarcata dal formato a grandezza naturale delle raffigurazioni e dall’uso di incarnati impietosi, sottolineati da una luce omogenea, quasi da moderno studio fotografico. Nasi affilati, fronti lucide, orecchie rubizze, barbe color tabacco vengono restituiti in modo estremamente tangibile e atmosferico, attraverso un denso impasto cromatico. Lo stesso trattamento è riservato alla descrizione del vestiario, in cui rasi, ermellini, piume di struzzo, broccati e velluti appaiono nelle loro qualità fisiche e tattili, al punto da poterne intuire lo spessore, la sofficità e la lucentezza.
Grazie ai puntuali accostamenti di cui l’esibizione è prodiga, si evince come molti pittori del periodo puntino a disinnescare l’effetto di realtà delle loro invenzioni. Se Antoon Mor ricorre ad una impercettibile parodizzazione delle fattezze umane, Tintoretto, con l’uso di pennellate caotiche e non descrittive, interrompe l’illusione di tridimensionalità richiamando l’attenzione sul procedimento tecnico.
Il maestro bergamasco invece raggiungere lo svelamento dell’artificio ricorrendo ad espedienti meno lampanti e più integrati nel tessuto iconografico. Le classicheggianti quinte architettoniche presenti in molti suoi sfondi, ad esempio, risultano particolarmente ambigue e provvisore. Le ombre portate accolte dai fondali si distorcono in forme incongrue e indipendenti. Il risultato è volutamente straniante e in piena contraddizione con la solidità delle figure.
Al nostro sguardo avvezzo agli sconvolgimenti apportati dall’arte contemporanea, di cui il ritratto resta tra i prediletti campi d’azione, potrebbe sfuggire la sottile causticità insita nelle opere di Moroni. Un esempio esaustivo di come egli congegni le sue creazioni, lungi dall’essere mere celebrazioni della committenza, è il “Ritratto di Gian Gerolamo Grumelli”, anche conosciuto come “Il cavaliere in rosa”. Malgrado l’omogeneità pittorica sembri accomunare ogni elemento, la composizione si articola in aree concettuali ben distinte che diventando i termini di un discorso metafisico. L’estraneità dello sfondo e l’ufficialità del vestito accerchiano e contrastano la fisionomia quasi inerme del rampollo di provincia. Lo sgargiante abbigliamento corallino e il retrostante grigiore istituzionale attengono alla sfera pubblica e sociale, mentre il volto avvampato del ragazzo diviene struggente espressione di una dimensione intima; un intreccio di carnalità e coscienza che irradia tutta l’intensità dell’umana vita interiore.
In copertina: Giovanni Battista Moroni, Ritratto di Gian Gerolamo Grumelli (Il Cavaliere in Rosa), 1560, particolare. Collezione Lucretia Moroni in concessione al FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano. Foto Studio Da Re © 2021 FAI- Fondo per l’Ambiente Italiano.