Le mostre del 2015? Come nel ’39 e nel ’52

In Arte

Leonardo da Vinci, Giotto, Michelangelo, Medardo Rosso, e proclami sbruffoni. Ma cosa ci possiamo aspettare dalle mostre in calendario nel 2015 a Milano?

Era il 1939 e al Palazzo dell’Arte di Milano si apriva la mostra d’arte più fascista che si sia mai tenuta in Italia. Era su Leonardo, il genio italico poliedrico. Il catalogo si apriva così:

La «Mostra di Leonardo da Vinci e delle Invenzioni italiane» fu preparata per obbedire a S.E. il Capo del Governo e Duce del Fascismo il quale comandò, il 31 ottobre del 1936, ai rappresentanti degli enti culturali lombardi di andare verso il popolo. Si promise allora di dar vita ad una mostra che celebrasse, per l’invito del maggior italiano vivente [il Duce], il maggior italiano del passato [Leonardo], e ad essa fu aggiunta una rassegna di quanto gli inventori italiani potevano presentare di veramente nuovo per le necessità dell’autarchia

Quasi quindici anni dopo, in un’Italia liberata, nel neonato Museo della Scienza, si rimpolpava di nuovo il mito agiografico di Leonardo. Nel clima di ricostruzione dell’Italia liberata (ma distrutta), si puntava tutto sul cavallo sempre vincente: Leonardo.

Era cambiata l’Italia, in superficie, ma non erano troppo cambiati gli italiani: l’affermazione del genio italico del Rinascimento, il vanto per cose fatte cinquecento anni fa era una macchia, molto fascista, che nemmeno la Liberazione era riuscita a lavar via. Ma del resto, Leonardo è un nome che funziona bene per la visibilità internazionale. Uno specchietto per le allodole, da sventolare con vanto davanti a chi viene dall’estero e dell’Italia sa quattro acche in croce: pizza, mandolino, mafia e Leonardo. Tanto che pochi anni fa una mostra su Leonardo a Milano si è fatta, sì: a Londra. Il catalogo oggi è scontato a 10 sterline al bookshop della National Gallery, e non è granché, ma l’occasione era ghiotta: le due Vergini delle Rocce accostate e prestiti illustri da tutto il mondo.

Da molto si sa che la mostra dell’anno, anzi, dell’Anno (cioè quello di Expo 2015) sarà su Leonardo da Vinci. Già sono stati fatti i nomi dei curatori. Chi è minimamente addentro al mondo della storia dell’arte vi riconosce, con tristezza, una precisa “fazione”. Ma non è quello che importa. Pare che la speranza che questa non fosse la terza mostra-lustrino del XX(I) secolo, che si distinguesse per qualità invece che per quantità, che volesse dire qualcosa di serio piuttosto che stordire il pubblico di opere, sia del tutto vana.

Nel comunicato si parla di evitare le “consuete e lunghe schede di catalogo” per le opere, di “almeno cento disegni autografi”, di aprire la mostra il giorno del compleanno di Leonardo: un’idea su cui non vale la pena spendersi a parlare. Ma sono le dodici sezioni in cui sarà organizzata la mostra a destare grandi sospetti: “Il Sogno”, “Realtà e utopia”, “De coelo et mundo”…. Come i titoli di un romanzetto di consumo, da supermercato. Pare di leggere le sparate dei comunicati per l’area di Rho che ancora, a chi passa in treno per Torino, pare poco più che terra ricoperta da una tettoia. Poi si farà tutto, ma in fretta, raffazzonato. C’è dentro, nel comunicato, tutta la stessa sbruffonaggine di quell’introduzione del ’39, la solita idolatria del genio, il “guardate cosa abbiamo”, ancor più pietoso nell’epoca della comunicazione di massa e di un’Italia messa come è messa.

Ed è la stessa cosa per l’altro grande nome che si spende per Expo 2015: Giotto. Cos’è Milano per Giotto? Nulla: ci era passato, al soldo di Azzone Visconti, ma non è rimasto nulla, se non qualche pallida eco di qualche seguace sui muri di San Gottardo in Corte. Allora l’idea è sempre quella: per sventolarle davanti al pubblico, le opere si possono trasportare in quantità, con danni e costi enormi. Ma mai che le si possa concedere per mostre serie. Eh sì, perché lì mancano i soldi, mentre qui i fondi Expo, tra mille rivoli, arrivano a ungere tutti gli ingranaggi necessari… «colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare».

E che dire dell’idea del Museo dei Musei al Museo del 900, in cui si raccattano capolavori da altri musei d’Italia? Pare una violenza all’identità di quel museo e degli altri, a cui “per l’occasione” vengono strappati dei pezzi. E dove verranno messi in quel museo che è già ridotto in condizioni non troppo salutari? Rimane qualche speranza per Medardo Rosso alla GAM, come anche per il Michelangelo dei disegni per Tommaso Cavalieri al Castello Sforzesco, magari vicino alla Pietà Rondanini, risistemata nell’Ospedale Spagnolo. Chissà la mostra sull’Arte Lombarda dai Visconti agli Sforza, che usa lo stesso titolo della mostra curata da Longhi del 1958: una figura barbina se andasse male, ma si può provare a farla andare bene… Le premesse ci sono.

Il problema, insomma, è antico: noi italiani la spariamo sempre troppo grossa, e il celodurismo contagia anche gli ambiti più impensabili. Oggi, però, nelle condizioni da pernacchia in cui ci troviamo, e in tempi di crisi, l’operazione rischia di essere ancora più ridicola e poco al passo con i tempi, e noi rischiamo di uscirne ancora peggio.

Perché allora non fare qualcosa di più modesto, ben fatto, che si possa ricordare in futuro come una mostra e non solo come un grande sūq di opere? Le fiere, del resto, si dimenticano facilmente: chi si ricorda della mostra del ’39? E di quella del ’52?

(Visited 1 times, 1 visits today)