“I demoni e la pasta sfoglia” di Michele Mari, raccolta di scritti critici, ma anche testo di poetica, torna in libreria in una nuova edizione per Il Saggiatore. Ne pubblichiamo un secondo estratto in cui Mari racconta le belle e le bestie della letteratura francese.
Se si escludono alcune modulazioni italiche del tema (Straparola, Basile), la storia della Bella e della Bestia è tutta francese: Charles Perrault (1680), Marie-Catherine d’Aulnoy (1698), Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve (1740), Jeanne-Marie Leprince de Beaumont (1756).
Quasimodo è ovviamente francese, e francese è anche Rigoletto: prima che in letteratura nasce nella realtà come Nicolas Ferrial detto Triboulet, nano e buffone di Luigi XII e poi di Francesco i, quindi entra nei libri: prima timidamente, come interlocutore di Panurge nel Terzo libro di Rabelais, poi come protagonista del dramma di Hugo Le Roi s’amuse (1832), donde passerà nel Rigoletto di Piave e Verdi.
Non è escluso che Hugo abbia adottato Triboulet per inerzia affettiva, come sostituto di Quasimodo (Nôtre Dame de Paris precede il dramma di un anno). Francese, infine, è il Fantasma dell’Opéra, creato da Gaston Léroux nel 1910. Dunque, ricapitolando: un principe imbestiato, un gobbo deforme, un nano-buffone, un uomo orrendamente sfigurato. Li associa qualcosa, oltre la mostruosità? Sì, li associano le donne. La prima è Bella, che vive un rapporto di affettuosa paura e poi di amore con la Bestia, e che soprattutto nella versione di madame de Beaumont innesca un cortocircuito fra lo sposo e il padre portando dall’uno all’altro una rosa, fatidica quasi quanto quella del Piccolo Principe.
La seconda è Esmeralda, al centro di un triangolo morboso formato da Quasimodo, da Phoebus e da Frollo; la quarta è Christine, contesa dal Fantasma (Erik) e da Raoul, la cui vera disputa, però, è fino all’ultimo chi sia il buono e chi il cattivo. Ma Triboulet? Quale donna, se si esclude la Gilda di Rigoletto? Nientemeno che la regina e le sue più strette dame, che avvalendosi del privilegio concesso ai buffoni di corte egli punge con battute talmente maliziose da indurre Francesco I a revocargli la licenza; non avendo ubbidito, ed anzi insistendo nella rappresentazione della corte come grande bordello, Triboulet verrà condannato a morte, sentenza poi commutata in bando perpetuo. Le ultime notizie che si hanno di lui lo colgono in un vero postribolo, intento a ingraziarsi le prostitute trattandole come regine. Palesemente, dunque, un sadomasochista che deve sporcare gli angeli e adorare le reiette, in costante opposizione a ciò che è alto e ciò che è basso.
Nessun «infinite jest» sulla bocca di questo Yorick gallico, solo agonismo travestito da scherzo. Ma se Triboulet è un buffone mentito, non meno travestiti sono gli altri: la Bestia nasconde dentro di sé un bellissimo principe, Quasimodo un’anima bella ed innocua (parimenti un altro mostriciattolo di Hugo, il Gwynplaine dell’Uomo che ride, si rivela figlio di un aristocratico), la maschera del fantasma un uomo orribile che a sua volta nasconde un genio musicale: mostri transitivi dunque, provvisori e inessenziali. Forse la misura di tanta incompletezza è l’ambiguità che ne fa qualcosa di patetico: non è un caso che da queste storie siano nati un melodramma, un musical e due cartoni animati, tutti rifatti più volte.
Attraversiamo invece la Manica, e troviamo ad attenderci Jack lo Squartatore, Mr Hyde e Dracula: il primo mostruoso non in figura ma in atto, e dunque mostro verace; il secondo non sovrapposto come una maschera all’uomo retto ma insito in lui, e dunque mostro veritativo; il terzo verace e veritativo insieme. Certo non mancano nemmeno qui i mostri patetici, dalla creatura di Frankenstein a Elephant Man, così come in America la galleria e inaugurata dai Freaks di Tod Browning: ma i mostri della modernità rampollano da quei tre, sono affamati e compulsivi come loro, sono i cannibali della Palude Silenziosa e i tarati di Un tranquillo weekend di paura, sono i mutanti delle Colline hanno gli occhi e gli zombie di Romero, gli infetti, quelli che dentro di sé hanno gli ultracorpi, quelli che sono entrati nel teletrasportatore insieme a una mosca. Rispetto a questo scenario polluto e contaminato, come ci sembrano antiche quelle fiabe nate a corte come un ultimo, grazioso ramoscello dell’albero delle Metamorfosi ovidiane!