“A me piace andare in quelle zone in cui nessuno ha il coraggio di andare, mi piace dire parole che nessuno direbbe in una canzone”. Giorgio Ferrario in arte Mostro, rapper romano di cui è uscito il video “Tutto passa”, parla con Cultweek di poesia, di scrittura, di violenza e di altro. In attesa del suo prossimo tour a marzo
Giorgio Ferrario ha bisogno di diventare Mostro per essere chi è. È la cosa a cui sembra tenere di più. Essere, attraverso il personaggio, pienamente se stesso, senza sconti. Classe 1992, e una perdita importante già alle spalle (ne accenneremo più avanti), una voce che ha voglia di farsi sentire, per protesta, per emozione, per desiderio di espressione, e una capacità di scrittura da cui è nato tutto. Ha iniziato a scrivere da giovanissimo, al liceo, e non ha mai smesso di farlo trasformando la sua dote in rap. Nei primi album ha cercato ferocemente se stesso, ora sembra averne trovata almeno una parte: con The Illest volume 2, ultimo suo disco pubblicato lo scorso aprile, ci racconta di aver superato alcuni dei suoi dolori, dei turbamenti che troppo spesso, come vuole farci intendere Mostro, dimentichiamo di accogliere e di capire come facciamo con altri sentimenti.
Sul web è uscito la scorsa settimana il video del brano Tutto passa con le immagini dei concerti settembrini a cui Giorgio tiene moltissimo (come a tutti i live), e nel backstage ci si sta preparando già a un nuovo tour, sui palchi a marzo, intitolato Warriors, per un po’ di motivi. Abbiamo iniziato a chiedergli quali.
Cominciamo inevitabilmente dai mostri. “Serve il mostro se poi vuoi strillare” è un verso della tua Tutto passa: e il mostro del tuo nome qual è? Mostro nasce dal soprannome datomi da un amico per le mie esibizioni di break dance… poi però negli anni ho fatto in modo che questo nome diventasse mio e che potessi sfruttare le analogie che ci sono con la parola mostro, nelle sue accezioni negative, come un “mostro di cattiveria”, e in quelle estremamente positive, come un “mostro di bravura”. Insomma, mi piacevano gli eccessi che si potevano raggiungere con questo nome. In tutti questi anni mi sono reso conto che scrivendo ho costruito una sorta di personaggio, che mi è sempre servito per comunicare qualcosa. Dovevo creare un personaggio che fosse un po’ più estremo di me per avere il coraggio di dire cose che io, in quanto Giorgio, non sarei riuscito a dire. E quindi ecco qua che “serve il mostro se poi vuoi strillare”.
Il mostro viene anche da dentro? Ce ne sono tanti di mostri?
Sì, assolutamente. Per mostro si intende tutto quello che abbiamo dentro, che svolge questa funzione. Bisogna farci amicizia e accettare tutte le cose negative che ci appartengono, perché l’essere umano non è un essere perfetto… abbiamo lati negativi che se vengono solo demonizzati continueranno a tormentarci e a spaventarci. Se invece riusciamo a conoscere questi aspetti della nostra vita e a controllarli, sarà tutto più facile, anzi questa diventerà un’arma che possiamo usare a nostro favore.
Tu come li hai trasformati in rap? Qual è stato il processo per te?
La cosa che più mi ha sorpreso quando ho iniziato ad ascoltare il rap, e quando poi ho iniziato a farlo, è stata ed è ancora la stessa cosa che ogni giorno quando scrivo una strofa mi sorprende: il rap mi dà la possibilità di trasformare quelle che sono per me delle situazioni tragiche, dei disagi in canzoni, in note, in qualcosa che posso cantare. Io ho sempre sentito la possibilità di esprimermi tramite questa musica, e il processo è nato proprio da lì, dal desiderio di raccontare cose mie che da solo, in quanto persona, in quanto Giorgio, proprio non riuscivo a esprimere. Riuscire a scriverne una canzone e a metterle in rima per me era come mettere quelle cose nero su bianco, risolvere il problema e andare avanti.
Il tuo rap nasce da un profondo rapporto con la scrittura e con le parole?
Sì, amo molto leggere libri di poesia. Per me il rap è scrittura. Viene prima l’aspetto della scrittura rispetto a quello della musica: io non so suonare, non sono bravo con la musica, anche se dopo tanti anni di studio ho un orecchio che mi permette di riconoscere le note. Ma quello che so fare meglio è scrivere, mi piace farlo, e potrei scrivere anche senza base.
Quali sono i tuoi testi di riferimento?
La poesia mi piace per la sua intensità, i romanzi mi annoiano un po’ invece, ci sono troppe descrizioni. Nelle poesie è tutto più condensato. In cinque righe sono racchiuse le emozioni. Io sono cresciuto con Bukowski: amo la scrittura che ti arriva come un pugno nello stomaco.
Il tuo ultimo album, The Illest vol. 2, si apre con la frase “fu tutto più chiaro”: che cosa si è chiarito per te in questi anni? Come è stato superare la perdita di un fratello?
“Tutto più chiaro” perché quando ho iniziato a scrivere quel disco mi sentivo finalmente tornato in superficie. Gli ultimi anni non sono stati semplici per me, sia per motivi personali che lavorativi. Con questo album sono ripartito da zero. Facendo questa musica, raccontandomi tramite questa musica, sono riuscito a togliermi delle soddisfazioni e a prendermi determinate cose che ero convinto di aver perso. Perciò non sarei stato coerente se avessi fatto un disco continuando a lamentarmi o a dire che mi sentivo perso. Dopo tutto questo tempo ho potuto finalmente tirare un sospiro, guardarmi indietro, e avere il coraggio di guardare anche le cose che sono state più difficili, trovarvi un senso e capire che ogni cosa è successa per un motivo. È questo il senso di quella frase.
Nel video di Nicotina hai un alter ego con qualche anno in più di te: rappresenta un peso da sopportare, che ti sta facendo “invecchiare” più rapidamente del dovuto?
Sì, per me è proprio così. Io mi nutro di emozioni forti, come avviene per il nome mostro. Mi piacciono o la scossa forte o la pace paradisiaca. Io trovo spazio in queste due dimensioni. Amo le scosse forti, emotive, perché a volte invece ci sono situazioni di mezzo in cui non so come comportarmi. In Nicotina abbiamo pensato di realizzare questa seconda immagine di me come se gravasse su tutti quelli che sono i miei pensieri più complessi e inerziali. Non si intende la vecchiaia tanto come un’età, quanto come l’usura di un corpo che ne ha vissute tante.
In che modo riesci a trasformare in valori positivi la violenza e la malattia dei tuoi pezzi?
A me piace andare in quelle zone in cui nessuno ha il coraggio di andare, mi piace dire parole che nessuno direbbe in una canzone. Perché penso che la musica debba essere catartica. Io sono quello che si butta nel fango e parla delle situazioni più oscure. Però ho una missione, non sono lì per riportarti semplicemente a galla tutta la merda che ho visto: voglio affrontare le situazioni più grevi, più violente, più negative, per cercare di trovare un senso anche in quelle. La violenza in sé non può mai essere positiva. Però io penso che la forma sia una cosa e il contenuto sia tutt’altro: a me piace portare un contenuto positivo, un messaggio di speranza e anche di forza, di energia, anche se trasmesso in una forma apparentemente violenta. Bisogna semplicemente avere il coraggio di ascoltare.
Che cosa rappresenta per te la “merda positiva”?
È un po’ un mood. In quel verso di Nicotina mi riferisco alla musica: io ascolto quasi solo musica triste, che poi in realtà mi fa stare bene! La musica malinconica mi piace molto di più della musica allegra, “positiva”. Quindi fondamentalmente quello rappresenta un mood, perché a me di base “mi rode il c***”.
Che cosa intendi quando sostieni di essere un “regista di horror”? Qual è il tuo rapporto con l’immagine?
Io ho sempre pensato che il rap e la scrittura fossero molto collegati, le parole sono semplicemente un modo per non usare un colore: tu lo scrivi quel colore invece che usarlo direttamente, fai un giro un po’ più lungo. Ma quello che deve sempre avere in testa una persona è un’immagine ben precisa di ciò che stai raccontando. Di conseguenza un testo può diventare un quadro, e un quadro può diventare un film. L’immagine si ritrova in tanti campi dell’arte, e io la collego sempre molto ai miei testi. Per questo mi piace dire che sono il regista di un film horror, come un pittore di quadri astratti, perché comunque il fine delle parole è sempre quello di dare un’immagine.
Adesso che è fuori il video di Tutto passa, come vi state preparando alle prossime tappe live?
Partiremo a marzo per il tour Warriors, chiamato così in onore del film di cui sono un grande fan (I guerrieri della notte, 1979) e di cui ci piaceva molto il mood… i guerrieri, la notte, la strada… e niente, sarà una bomba, ma non posso anticipare troppo! E se siamo stati molto felici dei concerti di settembre, da questi ci aspettiamo ancora di più, perché saremo in posti più grandi e perché stiamo preparando uno show incredibile. Tra l’altro, quello di suonare dal vivo è il momento che aspetto di più: i dischi li faccio proprio per questo, per poterli far ascoltare dal vivo, e ci tengo che ogni notte sia epica!