Tratto dal libro di grande successo del blogger svedese Fredrik Backman, a sua volta il film di Hannes Holm è stato un block-buster in patria, candidato all’Oscar e premiato come miglior commedia agli European Film Awards. Perché a dispetto del tema di fondo, la rancorosa terza età di un pensionato (e vedovo) che in un piccolo quartiere progetta di continuo, senza successo, il suicidio, il tono del racconto sa conciliare una diffusa malinconia con uno stile tutto sommato leggero, anche affettuoso: soprattutto nel rapporto tra Mr. Ove e la signora iraniana che diventa sua vicina. E presto amica
Ove è la quintessenza dell’anziano della porta accanto che nessuno vorrebbe avere come vicino: un cinquantanovenne burbero e musone che vigila sul quartiere con la stessa autorità di uno spaventapasseri travestito da sergente. Candidato svedese agli Oscar 2017 (è stato poi battuto da Il Cliente di Asghar Farhadi), Mr. Ove (o semplicemente Un uomo chiamato Ove, nel titolo originale) è la prima trasposizione per il grande schermo di L’uomo che metteva in ordine il mondo dello scrittore e blogger Fredrik Backman, caso editoriale che ha venduto in due anni oltre sette milioni di copie in tutto il mondo. In patria anche la pellicola di Hannes Holm, premiata come miglior commedia agli European Film Awards, ha conosciuto un notevole successo, destinato forse a fare il bis con il remake hollywoodiano, che vedrà Tom Hanks nei panni del protagonista.
Pur inserendosi nella tradizione svedese del suicidio – cosa sarebbe un film scandinavo senza qualche valzer con la morte? – questo primo Ove riesce a sbrogliare la complessità di tematiche del genere più con la black comedy che col dramma. Il film funziona proprio perché non si prende troppo sul serio e presenta un archetipo del cinema – il vecchio brontolone che riscopre la vita grazie a nuove conoscenze – marciando più sul comico che sul tragico, avvicinandosi ai Grumpy Old Men di Jack Lemmon e Walter Matthau più che al Walt Kowalski di Clint Eastwood in Gran Torino.
In questo senso a tornare alla mente è soprattutto la disinibita leggerezza suicidaria di La vita è meravigliosa di Frank Capra, richiamata alla memoria dall’architettura del film, diviso fra flashback e tempo della narrazione. Forzato alla pensione dopo 43 anni di servizio presso la Saab, e subito incapace di trovare un nuovo posto nel mondo, Ove va acuendo quei tratti di poliziesca ispezione del quartiere che tanto lo rendono inviso al vicinato. Ne ha una per tutti: per il gatto che fa pipì davanti a casa sua, per la bionda che porta il cane-criceto a spasso, per chi non parcheggia bene, per chi organizza pranzi conviviali. Ad addolcire le manie del Grinta scandinavo sarà l’arrivo di Parveneh (Bahar Pahrs), signora iraniana migrata con la famiglia nel Nord Europa, e dei suoi piccoli, sorta di nipotini addottivi che prenderanno nella sua giornata il posto di quei figli che la vita non gli ha mai concesso.
A tendergli la mano nessun fil rouge col passato ma una terapia d’urto col diverso. Inizialmente l’anziano mal sopporta la nuova venuta, che mangia riso allo zafferano e osa chiedergli la scala in prestito. Ove anziano (un Rolf Lassgård che ricorda Stellan Skarsgård) non riesce a lasciar riposare le memorie di Ove giovane (Filip Berg): mantenere una Saab 90, superare la morte dei genitori e guardare attentamente a destra e a sinistra prima di attraversare la strada. I flashback che infarciscono l’odissea dei tentati suicidi di Ove (con cappi e gas, sempre senza successo) sono messi in fila con leggerezza quasi fiabesca per stessa ammissione di Holm, che dice di essersi ispirato a pellicole come Forrest Gump.
La terra del sole di mezzanotte brilla nella notte, e la rinascita di Ove non è molto diversa da un’aurora boreale, fredda in una terra desolata ma illuminata da un sole caldo che non può non intiepidire.
Mr. Ove, di Hannes Holm, con Rolf Lassgard, Massimo Lopez, Bahar Pars, Johan Widerberg, Ida Engvoll, Filip Berg