La voglia di cambiar vita, un invasato trainer motivazionale, un reality tv che risolve i problemi. Ingredienti scontati? Forse, ma Muccino jr. li gioca bene
Il desiderio è ciò che muove il mondo. Potere, lusso, denaro, successo, piacere, un amore che dura per tutta la vita? Qualunque sia il tuo desiderio, il life coach Giovanni Canton (Silvio Muccino), protagonista di Le leggi del desiderio, è lì per aiutarti a realizzarlo, insegnandoti prima di tutto a non avere paura di cambiare te stesso per cambiare il mondo, insomma a buttarti in acqua sei vuoi imparare a nuotare! Facile a dirsi, ma farlo davvero è tutta’altra cosa.
E infatti molti pensano che Giovanni Canton sia un pericoloso ciarlatano, anche se i suoi libri si vendono come il pane.
Per dimostrare che le sue teorie funzionano, Giovanni e il suo editore si inventano una specie di “reality del desiderio”. Tre concorrenti – una 30enne (Nicole Grimaudo) che cerca il principe azzurro ma intanto dorme col gatto e fa sesso col capo sposato, una 50enne appassita (Carla Signoris) che rivuole la passione e scrive romanzi erotici, un imbolsito 60enne (Maurizio Mattioli) che si accontenterebbe di riavere il lavoro che ha perduto – vengono selezionati fra migliaia di aspiranti e seguiti (modellati, motivati, pungolati) per sei mesi, fino alla trionfale realizzazione di tutti i loro desideri. Naturalmente, come in ogni commedia che si rispetti alcune cose andranno come previsto e altre no, ma l’happy end non può mancare.
Se fossimo in un film americano, tutto questo sarebbe banale, visto già mille volte, compresa la figura del trainer motivazionale maniaco del controllo e destinato a scoprire le gioie della libertà (da se stesso prima di tutto). Invece siamo in un film italianissimo, interpretato e diretto da Silvio Muccino, che ha scritto anche la sceneggiatura (insieme alla fidata Carla Vangelista), che al suo terzo tentativo dietro la macchina da presa dà prova di talento, coraggio e intelligenza.
Come attore se la cava molto bene, ritagliandosi il ruolo di un carismatico guru, un profeta del benessere dai lunghi capelli biondi e dagli occhi magnetici, un po’ Gesù Cristo, un po’ imbonitore da fiera, capace di affascinare le persone soprattutto perché le sa ascoltare e sa vedere quello che sono al di là dei cliché e delle apparenze.
Come regista e sceneggiatore ha saputo scegliere e mettere insieme gli ingredienti giusti per il film che aveva in mente: un po’ di My Fair Lady, una strizzata d’occhio alle 50 sfumature di grigio, un pizzico di Pretty Woman e un’occhiata ai video di Jovanotti quando vent’anni fa cantava Io penso positivo perché son vivo, finché son vivo, senza dimenticare la crisi economica che morde e uccide, e per finire nel mondo dei reality televisivi e dell’editoria spazzatura.
Un film furbo, dunque? Assolutamente sì. Poteva essere più cinico e avere un finale meno romantico? Certo che sì. Però forse al pubblico sarebbe piaciuto meno. E Muccino, evidentemente, vuol piacere al suo pubblico. Non mi pare sia un peccato mortale, soprattutto quando un film funziona, dalla prima all’ultima scena. Scusate se è poco!